Dal momento che non c’è più un sindacato, esclusa la sola Cisl, si direbbe, rimasto a difendere le ragioni della contrattazione salariale, per quale motivo un governo dovrebbe farsi sfuggire il vantaggio di stabilire un salario minimo per tutto il mondo del lavoro? Sarebbe una dimostrazione di forza irrinunciabile, il modo in cui la maggioranza politica del paese attesta il suo desiderio che i lavoratori siano ben pagati, o per lo meno pagati il giusto, alla faccia di ogni possibile sfruttamento. Come risvegliato da una scossa elettrica, un corporativista della prima ora, quale Gianni Alemanno è ritornato subito su una scena da cui mancava da anni. Il segretario dell’organizzazione giovanile del Msi di Almirante non riesce nemmeno a credere che un governo che reca nel logo il simbolo del suo fiero partito, rischi di perdere una simile occasione. A chi spetta stabilire il salario? A noi, ovvio. Per cui se questa è la tendenza generale, anche il pio onorevole Casini da Cortina invita al pragmatismo, ha ragione Conte, si faccia il salario minimo subito ad agosto. Le aziende che sono chiuse e che pagano salari minimi al di sotto della soglia stabilita, si faranno due conti e vedranno se vale la pena di riaprire o meno a settembre. Perché se ci sono i padroni cattivi che vessano i lavoratori per comprarsi la barca dove portarsi l’amante, ci sono anche le imprese che stanno sul mercato a fatica e che i salari li trattano sulla base delle possibilità dei ricavi ottenuti.
Se però venisse approvato direttamente il testo presentato dall’opposizione, si vedrebbe che viene contemplata l’ipotesi per la quale quando l’azienda non riesca a retribuire il dovuto al lavoratore, lo Stato si farebbe carico degli importi richiesti. Il che, in un paese normale, un paese occidentale, la Germania ha il salario minimo da sette anni abbondanti per legge del Bundestag, implicherebbe per lo meno uno studio conoscitivo della realtà imprenditoriale. Sapere quante sono le imprese, in quali regioni, con quanti lavoratori impegnati, che potrebbero non essere in grado di saldare il salario minimo fissato per legge. Avere un’idea di come possano reagire, ad esempio, invece di chiudere o di rimettersi al sovvenzionamento di Stato, potrebbero trasferirsi altrove. Questo anche per farsi due conti, mai si volesse tutelare il sacrosanto diritto del lavoratore, senza mandare in bancarotta lo Stato.
Il governo ha appena dismesso il reddito di cittadinanza e domani potrebbe essere costretto anche ad abbondonare a se stesse le imprese che non ce la fanno senza sostegno. Il reddito di cittadinanza, lo stesso che il segretario Dem di allora, chiamava di “sudditanza”, era subordinato nell’impianto legislativo alle offerte di lavoro, in particolare a tre, scadute le quali decadeva. Dunque non era prevista un’elargizione del reddito all’infinito, o per limiti di cassa o per una qualche idea di produttività che sembrerebbe essersi dispersa rapidamente, lo si presentava come provvedimento temporaneo. Lo stesso potrebbe accadere alle aziende una volta introdotto il salario minimo. Domani lo Stato smette di aiutarti e tanti saluti, con sms o senza. Se non si vogliono correre rischi di perdere il lavoro e di finire sul divano senza un reddito, il salario minimo è meglio sempre lasciarlo stabilire nella trattativa aziendale sulla base delle proprie capacità di stare sul mercato. Non siamo una società di schiavi, i lavoratori decidono se accettare a meno la proposta. I barbari non facevano contratti, e ovviamente nemmeno i romani. Il contratto caratterizza la civiltà contemporanea, dove il cittadino decide se gli conviene lavorare, o preferisce restare sul divano, sempre che non te lo sei già venduto il divano.
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