Secondo le intercettazioni del famoso documento del Dap la cui esistenza è stata rivelata dall’onorevole Donzelli in aula alla Camera e che non parrebbe essere secretato, l’anarchico Cospito avrebbe detto al camorrista Di Maio, la frase “per me siamo tutti uguali”. La discussione riguardava la comune lotta dei vicini di cella contro il 41 bis per riuscire ad abolirlo, “pezzetto dopo pezzetto”. Questa conversazione fra Cospito e Di Maio sarebbe avvenuta proprio a ridosso della visita dei deputati del Pd ai carcerati. Perché leggendo l’intervista al quotidiano di Marco Travaglio dell’onorevole Verini, capiamo che i deputati sono andati a visitare con Cospito anche i mafiosi, non per obbedire al sentimento di eguaglianza di Cospito, ma proprio per spirito di umana fratellanza. “Le celle erano chiuse – spiega Verini a Il Fatto – vedevamo solo le facce dallo spioncino. Chiedevamo da quant’è che è qui?’ e loro rispondevano trent’anni’, venti’, dieci’. Un comune cittadino davanti ad una simile narrazione è indotto a pensare che non vi sia niente di più straziante, tanto che un tempo in Francia i parlamentari si risparmiavano volentieri tale ambasce. Al loro posto mandavano i terroristi nelle carceri per farvi strage di prigionieri, i nemici della Repubblica non venivano perdonati. Bisognava difendere uno Stato minacciato dall’interno dai sostenitori del re e all’esterno, dalle potenze che avevano accolto gli emigrati.
I massacri delle carceri del settembre 1792 furono commissionati dal governo rivoluzionario, in particolare dal ministro della Giustizia, Danton, come viene ricostruito attraverso le memoria del giovane figlio del duca di Orleans dagli studi di Hippolyte Taine. Anche se Danton era l’uomo di maggior peso all’interno di quel governo si trattava del governo della Gironda che come ministro degli Interni aveva nientedimeno che Roland il quale invece di mobilitare la forza pubblica per difendere i prigionieri scrisse una lettera per dire che non ci si poteva opporre al volere popolare. Questo si legge nella “Storia dei girondini” di Lamartine, che come figlio di un gentiluomo del pugnale scampato al massacro, compie un’opera di incredibile imparzialità. Dote che mancò completamente al giovane convenzionale Louvet che dai banchi della Gironda accusò Robespierre del massacro. Robespierre che all’epoca dei fatti contava poco o niente, basta pensare che si era opposto alla guerra praticamente da solo in tutta la Francia, quando questa vi era entrata felicemente guidata dalla Gironda, guardò il suo irruento collega da dietro gli occhiali scuri e chiese tempo all’Assemblea per replicare ad accuse tanto infamanti. L’ascesa politica di Robespierre iniziò dopo l’attacco a dir poco strampalato di Louvet.
Se mettiamo una redingote ed un foulard al collo dell’onorevole Donzelli ci ritroviamo il ritratto di Louvet e senza nemmeno cambiare l’acconciatura di capelli. Siamo convinti infatti che i deputati del Pd, Verini, Serracchiani, Orlando e quanti altri non abbiano minimamente tramato con i carcerati per togliere loro il 41 bis, esattamente come Robespierre non era responsabile della uccisione di quelli dei suoi tempi. C’è solo da chiedersi se ciononostante Verini e compagni non ritengano che i loro carcerati debbano essere resi liberi, esattamente come Robespierre volesse quelli del suo tempo, piuttosto che liberi, morti.
Foto Mousée de la Révolution Française, Vizille