Mettiamo subito le mani avanti, perché non si sa mai. Julius Evola fu un cattivo maestro. Guardo con ammirazione il suo impegno filosofico, il suo voler approfondire prima e superare poi l’hegelismo italiano con prove discrete ma non indimenticabili come Teoria dell’individuo assoluto e Fenomenologia dell’individuo assoluto. Il suo contributo sull’ermetismo, La tradizione ermetica, è pregevole, documentato, ma non è una pietra miliare. E il suo concetto di Tradizione è opinabile, come ogni tentativo che immagini una trasmissione da una notte dorata che si è persa nei secoli, là dove lo Spirito si sviluppa invece, da un passato dormiente a un risveglio di progressiva messa a fuoco. Tutto si può dire però, lo si può perfino dimenticare, ma Evola razzista e antisemita no.
La razza, certo, è un concetto da maneggiare con cura. Qualcuno ha tolto proprio il termine dai piedi, e ha fatto bene. Ma il secolo scorso la si usava in sensi teoretici, spirituali, etici. Al punto che si condannava il razzismo tedesco come ogni “ideologia nazionalista, a fondo pangermanista” perché aveva uno sfondo di “scientismo biologico”. Scrisse anzi Evola: «In ordine a queste ultime, non ebbe del tutto torto Trotsky quando definì il razzismo come un materialismo zoologico. Si fede ricorso alla biologia, alla eugenetica, alla teoria dell’ereditarietà prese come erano, cioè nei loro presupposti del tutto materialistici».
«Quando Mussolini mi chiamò e diede l’accennato giudizio su Sintesi di dottrina della razza, disse di voler sapere come la cultura italiana aveva accolto il libro. Allora Pavolini, ministro per la cultura popolare, diramò una ‘velina’ per segnalare alla stampa quell’opera. Ma di tali veline, quasi sempre sollecitate dagli autori, se ne inviava una quantità; vi si era abituati, sicché alla segnalazione del mio libro non si fece quasi caso. Venutone a sapere, Mussolini si adirò e fece ripetere in forma categorica la segnalazione. Naturalmente, allora venne giù una pioggia di recensioni, a partire dall’aulico Corriere della Sera da altri grossi giornali che mai si erano degnati occuparsi dei miei libri. È così che molti in Italia vennero a conoscermi solo per essere l’autore di un libro sulla razza e che mi viene applicata l’etichetta, non facilmente staccabile, di “razzista”, quasi che di null’altro io mi fossi occupato. […] In realtà io mi ero sforzato di applicare ai problemi della razza dei principi di carattere superiore e spirituale, si trattava per me di un dominio del tutto subordinato, e lo scopo principale era di combattere gli errori delle varietà del razzismo materialista e primitivissimo affacciatosi in Germania, che alcuni in Italia si accingevano a riprodurre dilettantisticamente. Anche in questo dominio io mi tenevo fedele alla mia linea, e nell’essenziale non vi è nulla di quanto allora scrissi che io rinneghi: pur conoscendo l’assoluta mancanza di senso che praticamente avrebbe, oggi, il riprendere simili problemi». Fu anche per questa ragione che nel 1959 Evola scrisse di non voler più ristampare i suoi scritti sulla razza.
«Il che vale per lo stesso problema ebraico. Il modo con cui l’avevo considerato era assai diverso da quello proprio al volgare antisemitismo. L’azione dell’ebraismo nella società e nella cultura moderno, lungo due linee principali, quella dell’internazionale capitalista e quella di un fermento rivoluzionario e corrosivo, è difficilmente contestabile. Ma io cercai di mostrare che codesta azione è stata svolta essenzialmente da un elemento ebraico secolarizzato, staccatosi dalla sua antica tradizione, nel quale alcuni aspetti di essa avevano assunto forme distorte e materializzate e nel quale si erano liberati gli istinti, in parte frenati da quella tradizione, di una determinata sostanza umana. Contro la tradizione ebraica in senso proprio avevo poco da eccepire, e spesso nei miei libri su argomenti esoterici avevo citato la Kabbala, antichi testi ebraici sapienziali e autori ebrei (a parte la mia valorizzazione di Michelstaedter, che era ebreo, e il mio interesse per un altro ebreo, Weininger, della cui opera principale curai una nuova traduzione in italiano. […] Infine sul piano delle forze storiche non mancai di accusare non solo l’unilateralezza ma anche la pericolosità di un antisemitismo fanatico e visionario, ciò, anche nell’introduzione che scrissi per la ristampa, curata da Preziosi, dei famosi e discusissimi Protocolli dei Savi di Sion. Rilevai cioè quanto fosse pericoloso credere che solo l’ebraismo sia il nemico da combattere».
«Infine non occorre nemmeno accennare che né io, né i miei amici in Germania sapevamo degli eccessi nazisti in Germania contro gli ebrei e che, se ne avessimo saputo, in alcun modo avremmo potuto approvarli».
Certo, Evola aveva dello Stato un concetto anni luce diverso dall’idea delle liberal-democrazie. Lo Stato non si compone delle libertà di tutti, come in Mazzini, come in Hegel. «Lo Stato non è l’espressione della società. La società è – in senso Aristotelico – la “materia”, lo Stato “la forma”. Non diversi rapporti devono intercorrere – fra Stato e nazione o popolo (demos): il primo corrisponde al principio maschile e spirituale, il secondo al principio femminile e materiale. Ed è per questo che nell’antica romanità ‘l’idea di Stato e di Imperium – della sacra potestà – si collegò col culto simbolico di divinità maschili del cielo, della luce, del sopramondo, nella sua opposizione alla regione oscura delle Madri e delle divinità ctoniche».
Foto: Mostri di un olocausto surreale di Don Sniegowski | CC BY-NC-SA 2.0