Pubblichiamo il documento redatto dall’amico Saverio Collura presentato al Consiglio Nazionale del 10 marzo
Le ultime indicazioni sul debito pubblico italiano dicono che alla fine del 2023 si dovrebbe attestare a circa 2.863 MLD di euro (137,3% del Pil). Allungando ulteriormente lo sguardo vediamo che il Centro studi Mazzero Research nel suo ultimo Report ipotizza che entro la fine del primo semestre 2024 esso potrebbe raggiungere i 2.900 MLD di euro (circa 141% del Pil). I dati dell’ultimo rapporto OCSE evidenziano che, stante le informazioni in atto, nel 2040 il rapporto Debito/Pil potrebbe raggiungere al 180%. Ma le recenti previsioni d’inverno elaborate dalla Commissione UE ci segnalano che ben 11 paesi dell’eurozona alla fine dell’anno in corso registreranno valori del rapporto debito/Pil inferiori a quelli consuntivati nel 2015: tra questi non c’è l’Italia. La questione della ”sostenibilità”del debito sovrano diventa sempre più un incubo centrale per lo svolgimento democratico del sistema Paese, perché limita i margini dell’azione politica complessiva di ogni governo nazionale. Quando il debito pubblico raggiunge livelli di valore assoluto così rilevanti, quale quelli prima indicati, aumenta in modo consistente la vulnerabilità del paese; stante anche la ciclicità delle crisi ricorrenti nelle assetto integrato occidentale. Quanto più alto è il livello del debito, tanto più pernicioso diventa l’effetto della crescita dei tassi passivi sul bilancio e quindi sul sistema economico del Paese. Il debito sovrano dell’Italia e ritenuto sostenibile quando i mercati finanziari si sentono garantiti che i prestiti erogati potranno essere remunerati e restituiti. Purtroppo con il trend di crescita registrato nel 2023 (+ 116 MLD), e con le previsioni che prospettano un incremento per il biennio 2024 – ‘25 sempre oltre i 100 MLD annui, questa condizione potrebbe eventualmente dimostrarsi aleatoria Pertanto, per conseguire e mantenere stabilmente queste condizioni è necessario che si realizzi sistematicamente la costante e significativa crescita del sistema economico nazionale, con un tasso di sviluppo stabilmente al di sopra del tasso di remunerazione del debito. Ciò infatti può consentire una positiva dinamica del rapporto Debito/Pil. Ma questa è la condizione necessaria, certamente però non sufficiente, perché non ammortizza gli effetti negativi conseguenti ad una eventuale crescita dei tassi passivi , che si dovesse accompagnare con una consistente crescita del valore assoluto del debito. È quanto accaduto di recente con la crescita dei tasso medio di emissione dei titoli di Stato, che ha registrato un consistente incremento dallo 0,1% del 2021, al 1,71% del 2022, e quindi al 3,76% del 2023. Per meglio focalizzare la problematicità del fenomeno, è utile ricordare che nel pieno della crisi del debito sovrano nel 2011 il tasso medio di emissione, in situazione di sostanziale omogeneità, è stato pari al 3,61%. Aggiungendo a ciò la considerazione prima espressa sulla consistente crescita annua del valore assoluto del debito, si appalesa in tutta la sua criticità la situazione di possibile degrado oggi in atto. Senza però riscontrare nel contempo una particolare preoccupazione del governo e della maggioranza parlamentare; salvo le flebili lamentele (ma ormai “datate”) espresse a suo tempo dal ministro Giorgetti. Le previsioni di trend di crescita del debito già nel prossimo primo semestre 2024, ed il perdurare degli attuali livelli dei tassi passivi potrebbero indurre momenti di tensione sui mercati finanziari ai quali dovrà accedere necessariamente il Paese. E’ previsto che nel corso del 2024 il Tesoro debba collocare sul mercato finanziario titoli del debito pubblico per almeno 300 MLD di euro. Da qui la necessità di individuare interventi sia ordinari e ricorrenti, che di portata straordinaria che consentono la riduzione strutturale del valore assoluto del debito in essere; ovviamente fermo restando l’esigenza imprescindibile dell’ottimizzazione del parametro relativo al rapporto debito/Pil, con la dovuta attenzione ella crescita economica, e quindi al Pil. .
Una particolare peculiarità ha contribuito sino ad ora, e ci consentirà sino a quando sussisterà, di rendere sostenibile il nostro debito pur in presenza della sua forte crescita. Il riferimento è a quella quota parte di debito detenuto dalla Banca d’Italia per conto della BCE (al momento il 25% del totale), conseguente agli interventi disposti dalla BCE con il Q.E., ed il PEEP. Attraverso queste operazioni si è reso possibile per un verso il calmieramento dei tassi passivi, e quindi il contenimento della spesa complessiva per interessi gravante sul bilancio. E ciò anche per una ulteriore specificità: per tutti i Bond nazionali detenuti della Banca d’Italia è prevista la quasi totale restituzione degli importi erogati con riferimento alle cedole in scadenza. Ricordiamo poi che per questi titoli finanziari, stante la normativa prevista dai trattati dell’Ue, non è consentito ipotizzare che gli stessi possono essere eliminati dal debito del paese verso la rispettiva banca centrale; ne analogamente per motivi di consistenza patrimoniale questi Bond possano stabilmente essere ritenuti come obbligazioni irredimibili. Il beneficio economico e finanziario verrà meno nel momento in cui la Banca d’Italia non deterrà più titoli del nostro debito sovrano. Nonostante ciò rimane pur sempre rilevante il costo per la remunerazione del debito sul bilancio dello Stato. A tal proposito, è opportuno ricordare che negli ultimi 15 anni il costo complessivo cumulato per gli interessi sul debito è stato di circa 1.000 MLD di euro; per una media di 66,6 MLD annui. Questo pernicioso balzello sul bilancio lo ritroviamo ancora per il 2023, e per l’importo di 78 MLD (pari al 3,8% del Pil); sarebbe stato di 100,1 MLD senza il ristorno delle cedole incassate dalla Banca d’Italia, . La lettura della NaDEF ci indica per il triennio dal 2024 al 2026 la costante crescita sia del valore assoluto degli interessi pagati, sia dell’incidenza percentuale sul Pil; arrivando nel 2026 alla spesa per interessi pari a 104 MLD (4,6% del Pil) la cifra è smpre al netto del ristorno di cui si è detto prima. L’ammontare complessivo del costo sostenuto per interessi nel triennio potrebbe attestarsi quindi a circa 280 MLD di euro, (14,0% del Pil). E’opportuno evidenziare ancora che nel triennio una parte consistente di detto importo (90 MLD, pari 4,5% del Pil) verrà acquisito dai possessori esteri delle quote del debito pubblico italiano, dando seguito così ad un consistente travaso di risorse finanziarie dal bilancio italiano alla ricchezza di soggetti esteri; cos la conseguente penalizzazione delle attività produttive e sociali interne. Per poter mantenere il più a lungo possibile i benefici collegati a questi titoli del debito italiano, è necessario che restino nel portafoglio della banca centrala un lasso di tempo più ampio possibile. Anche per questo motivo i le politiche fiscali di bilancio del governo italiano dovrebbero essere ben mirate e funzionali al sostegno degli investimenti, agli incentivi per le spese di ricerca applicata per innovazione tecnologica di processo e di prodotto, e soprattutto al contenimento della spesa corrente. Ma a leggere i dati numerici, non sembrerebbe che questo sia per il governo un concreto obiettivo. Infatti, gli ultimi dati disponibili e pubblici, relativi ai primi sette mesi del 2023, evidenziano, per il periodo, un NOTEVOLE SQUILIBRIO tra uscite ed entrate pari a +134,9 MLD di euro, con un incremento rispetto al corrispondente valore del 2022 (era stato +82,4 MLD) di 52,5 MLD; e ciò nonostante che, sempre per il periodo in esame, le Entrate tributarie siano aumentate di circa 14 MLD. Avendo sempre in evidenza il vincolo della temporaneità di questi specifici titoli finanziari, si pone la necessità che il governo italiano, dovendo comunque programmare la sostituzione di questa quota di debito con accesso ai mercati finanziari tradizionali, possa mettere in atto provvedimenti straordinari finalizzati alla riduzione del valore assoluto attuale del debito pubblico. Non è certamente efficace e funzionale all’obiettivo prima indicato l’intento espresso dal governo di voler vendere, con un intervento “SPOT”, ulteriori quote minoritarie (“per fare cassa”) della partecipazione azionaria detenuta in aziende strategiche, che garantiscono una consistente redditività. E ciò perché al momento il tasso di remunerazione delle cedole risulta essere nettamente superiore al tasso medio di finanziamento del debito.. Sarebbe quindi soltanto un depauperamento pubblico a favore di soggetti privat.i
Si rendono pertanto necessari interventi di natura patrimoniale, che coinvolgano la cessione di beni oggi afferente al patrimonio dello Stato, e che abbiano una appetibilità commerciale per la possibile collocazione sui mercati. Cespiti di natura immobiliare, e per quanto possibile, sulla base della valutazione del grado di strategicità, anche cespiti di natura mobiliare; e comunque in misura tale da consentire una diminuzione congrua dell’attuale livello di debito sovrano, che di per se limita e condiziona in modo consistente ogni prospettiva di possibile intervento congiunturale; e che grava come un duro ed iniquo balzello sulle future generazioni di cittadini italiani. Si pone quindi la questione relativa all’individuazione di strumenti operativi con valenza economica e finanziaria idonei a mettere in atto la adeguata riduzione del valore assoluto del debito sovrano. È su quest’aspetto che riteniamo di poter sviluppare un complesso approfondimento per dar corpo ad una concreta ed efficace proposta operativa. Vediamo prima come è ripartita la proprietà dei titoli del debito pubblico italiano. Indicata al 31 dicembre 2023 pari a circa 2.863 MLD di euro ( 139,6 % del Pil); Il 50% (1.418 MLD) si trova equamente ripartito nel portafoglio della Banca d’Italia (25,8%), e dei principali istituti di credito nazionali (24,5%); mentre il 2 6,5% è detenuto da fondi di investimento esteri , il 12,3% da fondi di investimento italiani, ed il 10,9% (pari a 306,8MLD) dalle famiglie italiane. L’ipotesi di lavoro è che la riduzione del debito non venga perseguita attraverso prelievo fiscale, bensì attraverso la cessione di beni dello Stato. Ciò comporta immediatamente che la riduzione massima possibile del debito dipende dall’ammontare finanziario conseguibile dalle operazioni di mercato per la vendita dei cespiti selezionati allo scopo. Certamente per conseguire un obiettivo apprezzabile, la riduzione del debito dovrebbe attestarsi in un “range” oscillante tra il 10% ed il 20%; riportato in valore assoluto potrebbe voler dire un ammontare pari a circa 300MLD di euro. Ci sono oggi in Italia cespiti non strategici che, anche a seguito di efficaci interventi di ristrutturazione e di rivalutazione economica, possono consentire di realizzare il ricavo prima ipotizzato? Supponiamo che detta ipotesi possa essere rinvenuta nell’attuale sistema patrimoniale nazionale. In tal caso, l’azione organica potrà essere messa in campo, articolata ed espletata in tempi operativi certamente non brevi, e modalità di svolgimento di sicuro non semplici. Tutto ciò richiederà competenze tecniche e manageriali di elevato livello, senza il cui apporto difficilmente l’operazione potrà arrivare a buon fine; nel contempo sarà anche essenziale coinvolgere direttamente nello svolgimento delle operazioni anche quei soggetti detentori di quote del debito pubblico, ritenut tra ii più efficaci e più funzionali per la buona riuscita della complessa operazione. In questa ottica i soggetti creditori da coinvolgere sono senza dubbio la Banca d’Italia e gli istituti di credito nazionali maggiormente rappresentativi per la quota di debito detenuto in portafoglio, e per presenza ed attività sui mercati nazionali e internazionali . Nel prosieguo verranno definite le competenze, e delineati “gli strumenti” operativi formali. Tutto la fase operativa dovrà essere espletata attraverso lo strumento del Fondo di Gestione Patrimoniale, nel quale fare affluire i cespiti da alienare, e la quota di titoli dei debito pubblico nazionale da estinguere; elementi questi che daranno origine all’attivo patrimoniale del Fondo. L’arco temporale del complesso delle operazioni dovrebbe trovare attuazione completamento nel periodo ipotizzato di cinque anni.
IL FONDO PER LA RIDUZIONE DEL DEBITO PUBBLICO ITALIANO (FRDI).
Si analizzano di seguito le condizioni e le dinamiche di svolgimento degli interventi nelle varie articolazioni dei diversi soggetti, attori protagonisti della complessa impresa.
1). La costituzione e la titolarità del fondo (FRDI) sarà di competenza del ministero dell’economia (Mef), in modo diretto o attraverso l’intervento della cassa depositi e prestiti. Si procederà successivamente alla ripartizione delle quote del fondo tra i vari protagonisti e precisamente il Mef, la Banca d’Italia, gli istituti bancari selezionati. Tale ripartizione di quote verrà effettuata sulla base del valore dell’apporto patrimoniale al fondo di ognuno dei soggetti prima richiamati. Si originerà così lo stato patrimoniale del fondo , che contabilizzerà all’attivo il valore dei cespiti secondo la relativa perizia di apporto e le quote di BTP secondo il rispettivo valore facciale. Al passivo verrà imputato il corrispondente valore quale debito verso sempre gli stessi operatori protagonisti.
2). La governance del Fondo dovrà essere funzionale e finalizzata all’obiettivo della massimizzazione del risultato; elementi caratteristici dovranno essere il dinamismo, la competenza (tecnica – economica – finanziaria), la forte performance. Tale peculiarità richiede un forte e diretto impegno nella conduzione operativa dell’impresa da parte degli istituti di credito nazionali interessati nel progetto.. Sarà quindi a questi protagonisti che deve essere riservata la gestione operativa del fondo; e conseguentemente la nomina del management più idoneo. Mentre deve essere riservata alla Banca d’Italia (se in linea con il quadro normativo di riferimento) la nomina del presidente, e la conseguente rappresentanza legale. Dovrà essere riservato al ruolo del Mef la supervisione generale ed il compito di auditing; nonché la valutazione finale dello svolgimento operativo.
3). Tenuto conto dei cespiti apportati al Fondo, il management dovrà elaborare il programma di gestione ed ottimizzazione degli stessi che saranno poi l’oggetto dell’alienazione. Al fondo affluiranno anche le risorse finanziarie derivanti dall’incasso delle cedole dei titoli di Stato apportati dalle banche; risorse queste che potranno essere utilizzate, ove necessario, per finanziare investimenti finalizzati alla migliore valorizzazione economica dei cespiti da alienare. Sulla base delle valutazioni più opportune, verrà predisposto il programma di marketing: “focus” centrale della complessa operazione.
4). Il completamento del programma di marketing rappresenterà anche la conclusione della vita del Fondo. I proventi realizzati verranno utilizzati per i rimborsi dei titoli del debito pubblico in precedenza apportati all’attivo del Fondo; le plusvalenze ottenute verranno ripartite tra gli azionisti secondo adeguate modalità; provvedendo in precedenza al rimborso di eventuali debiti finanziari verso azionisti; con riferimento in particolare all’ammontare delle cedole versate al Fondo.