Uno dei più rilevanti aspetti della riforma costituzionale del centrodestra presentata nel 2005, era il principio dell’interesse nazionale ad ovviare il conflitto legislativo comportato dalla riforma del Titolo V, avvenuta alla fine dell’ultimo governo Amato, cinque anni prima. Quindi, le espressioni di soddisfazione da parte della maggioranza per il giudizio della Consulta, che non avrebbe ritenuto incostituzionale la legge sull’Autonomia differenziata, limitandosi a discuterne determinati elementi, sono una prese in giro dei cittadini. Per lo meno Calderoli conosce bene la materia e semmai dovrebbe essere sorprendente che con una costituzione regionalista, la Consulta ponga dei rilievi ad un capitolato autonomista.
Per avere una definizione corretta della sentenza dei giudici della corte, bisogna richiamarsi al professor Michele Ainis che ha definito lo stato dell’autonomia differenziata, quello di un morto vivente. Solo un fallimento referendario potrebbe farlo riportare in vita. Altrimenti il governo sarà una specie di barone Frankenstein che si accanisce sulla sua creatura vanamente. Per altri versi la riflessione del professor Ainis coglie aspetti costituzionali profondi. Egli dice che “il Parlamento non può essere scavalcato” da “un decreto, espressione di un organo che ha una legittimazione di secondo grado”: tantomeno da “decreti legislativi (decisi nei Consigli dei ministri) né i Dpcm (in questo caso sono atti ancora inferiori perché individuali, emessi dal presidente del Consiglio”. Pensare di governare il paese in questa maniera, secondo Ainis, sarebbe “come pretendere che il portiere di uno stabile faccia il mestiere che spetta all’amministratore di condominio”. Badate che la critica non si rivolge al solo governo Meloni, al contrario, affonda in un recente e disgraziato passato.
D’altra parte bisogna riconoscere al ministro Calderoli di non essersi levato contro una Consulta di “comunisti”, o di aver accusato i supremi giudici di essere “irragionevoli”. Egli ha detto, pacificamente, che il governo considererà il loro parere, pur volendo andare avanti. Sanguinante, il ministro ha mostrato uno stile che manca affatto alla sua compagine di governo e questo in una giornata in cui un sottosegretario alla Giustizia incitava le guardie penitenziarie ad infierire sui detenuti.
Che il presidente della Repubblica, parlando ai giovani, trasmetta il senso di abbandono in cui si ritrova la sua istituzione di unità nazionale, è purtroppo comprensibile. Non sarà facile confortare il Capo dello Stato, perché appunto il vulnus non si limita all’operato di questo governo e non si restringe alle sola maggioranza. Non si tratterebbe di far cooperare fra loro i vari organismi istituzionali, che oramai si scontrano da decenni tranquillamente, ma le stesse forze politiche anche quando sono schierate su sponde opposte, cosa che con un sistema elettorale maggioritario è molto più difficile da realizzare, anche se non impossibile. Lo ha dimostrato l’esperienza Draghi.
L’esperienza Draghi acquista a maggior ragione un profilo politico rilevante per questa capacità di sospendere le ostilità partigiane in nome di un esclusivo interesse nazionale, oramai completamente perso di vista. Perché il governo pretende di inserire un pezzo estraneo alla maggioranza della Commissione europea, quando dispone di una forza perfettamente compatibile con essa, come quella dell’onorevole Taiani? Dicesse ho sbagliato, indichi un esponente del partito dell’onorevole Taiani. Perché si ostina a scontrarsi con i giudici sul decreto sicurezza? C’è un contenzioso oggettivo, chieda lumi alla Corte europea. Come fa il governo ancora a chiudere gli occhi su una questione di ordine pubblico serio che non riguarda solo la rivolta sociale promessa da Landini e gli studenti torinesi, ma anche le camice nere scese in piazza a Bologna?
Aggiungi gli errori di valutazione sulla crescita economica ed il quadro del paese diviene troppo disastrato perché il solo capo dello Stato lo continui a sorreggere. Finirà con il precipitare su tutta la cittadinanza. Per cui il governo dovrebbe iniziare a preoccuparsi di non finire come il protagonista del famoso romanzo di Mary Shelley, bruciato nel suo castello.
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