Il presidente ucraino Zelensky è arrivato per la prima volta in Italia mentre il fronte russo a Bakhmut si sta sgretolando. È vero che chi ha studiato Cesare sa che l’arretramento delle truppe può essere di tipo strategico per indurre il nemico a compiere un passo falso, solo che Cesare non arretrava di 5 e nemmeno di 2 chilometri dopo aver perso 90 mila uomini in quattro mesi, altrimenti mai sarebbe esistito Cesare. Bakhmut ha segnato la seconda fase della guerra, quella in cui i russi fatto tesoro del disastroso piano di invasione del febbraio scorso, impiegavano una condotta militare da manuale, quale concentrare le proprie forze su un solo punto. Il risultato è stato lo stesso di allora, aggiornando l’epica dei più grandi fallimenti militari della storia. In maniera incontrovertibile l’esercito russo sul campo si è mostrato inferiore al dispiegamento difensivo ucraino e lo è principalmente per ragione di efficacia degli armamenti, capacità di comando e di rifornimento, determinazione degli uomini. Zelensky ha detto che i russi sanno di aver perso la guerra, e per la verità lo sanno già dall’aprile scorso, ma non per questo possono essere anche disposti ad accettare la realtà, non lo fecero ad Austerlitz, ad Eylau, a Borodino. Vero che contro Zelensky hanno perso più uomini che nelle campagne contro Bonaparte.
L’inviato del tg3 ha parlato della visita di Zelensky in Italia annunciando la sua agenda, ovvero il colloquio al Quirinale, quello a Palazzo Chigi ed infine in Vaticano e sottolineato quest’ultimo come il più atteso. Può essere che il collega sia un papista che si è lasciato trascinare dall’entusiasmo, altrimenti avrebbe colto perfettamente il senso della presenza di Zelensky, rivolta al Vaticano, non all’alleato. È il Vaticano ad aver fatto sapere di un’iniziativa di pace avviata e che il pontefice si recherà in Ucraina solo se si potrà recare anche in Russia. La Chiesa come Stato sovrano ha piena disponibilità delle sue azioni, promosse persino una trattativa fra lo Stato italiano e le Brigate Rosse durante il sequestro Moro, che si sa come si è conclusa. Un’ipotesi di mediazione fra due Stati belligeranti, è per lo meno grottesco che con duecento mila morti in 15 mesi al Cremlino ancora parlino di “operazione speciale”, è di per se molto più complessa di quella pur delicata che concerne un singolo sequestro. Per di più la mediazione trova davanti a se due controindicazioni. Putin non è sullo stesso piano di Zelensky e non perché è l’aggressore, c’è chi ne discute, ma perché il tribunale dell’Aja lo ha condannato per crimini di guerra. Indi per cui se il Vaticano non vuole ignorare deliberatamente l’autorevolezza dell’Aja dovrebbe espletare un piano di mediazione che estromettesse Putin e lo facesse consegnare alle autorità sovranazionali preposte per la detenzione, questo sarebbe il primo punto dell’ordine del giorno. Poi bisogna considerare che Zelensky ha appena sfondato il fronte e potrebbe essere a breve nelle condizioni di cacciare i russi dal territorio occupato senza bisogno di nessuna trattativa diplomatica nemmeno con qualcuno al posto di Putin.
Zelensky che ancora non ha ricevuto le batterie missilistiche inglesi e i carri Abraham americani è in grado di imporre la pace. Deve solo preoccuparsi del passo falso di cesarea memoria. Una immediata controffensiva potrebbe fargli perdere il vantaggio acquisito, deve saper valutare il momento in cui dare un colpo definitivo ai russi o attendere che si disgreghi il loro esercito. Quello che sarebbe utile facesse la Chiesa sarebbe consigliare il Cremlino di non mandare altri uomini in Ucraina per vederli sterminare inutilmente e ottenere da Zelensky di lasciar ritirare quelli che vi sono ancora senza attaccarli. Non una mediazione, buon senso.
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