L’illusione accompagna il mondo occidentale sin dalle sue origini eleatiche, ritorna nel mito della caverna di Platone, le ombre che si agitano sulle pareti vengono scambiate per la realtà e trionfa nella filosofia di Arthur Schopenhauer con il velo di Maya. Tanti saluti al razionalismo cartesiano ed ai suoi derivati idealisti. Dire quindi che l’occidente viva un’eterna illusione, come ha detto ieri Putin, ci dà pure lezioni di filosofia così come può darle un poliziotto del Kgb, è una solenne banalità. Non meno banale sarebbe dire che la storia è disseminata di rovine imperiali. Un uomo di Stato intento a favoleggiare le imprese di Pietro il Grande, è più o meno come chi messosi un tricorno in testa, è convinto di poter ripercorre le imprese di Napoleone.
Chiunque può tentare l’impossibile, resta che l’impero francese è crollato nel 1815 e la sua ripresa dal 1848 al 1962, è stata una lunga e controversa agonia, non dissimile a quella dell’impero Romano dopo la morte di Marco Aurelio. L’impero russo invece è finito nel 1917. Lo si è cercato di rimettere in piedi sotto un’altra veste ed è finito ingloriosamente in Afghanistan nel 1992. Credere di poterlo ricostruire è una follia bella e buona.
Se poi mai si pensasse di tracciare un qualche parallelo fra la presenza occidentale in Afghanistan, con quella sovietica, significherebbe non sapere di cosa si parla, perché corre la differenza fra una guerra di conquista ed una di liberazione. La prima è stata persa e definitivamente, la seconda è appena iniziata.
Il declino degli imperi nella storia avviene proporzionalmente alle necessitò di espansione delle libertà. Pensare di poter dominare la volontà di milioni di persone è un’illusione clamorosa, degna dei tempi della servitù della gleba. È vero che la Russia l’ha abolita da poco rispetto al resto del mondo, ma questo non basta.
Ammettiamo anche solo per ipotesi che tutto l’ Occidente si rattrappisca davanti all’ombra di Putin, scambiando un nano per un gigante e dica va bene, si prenda quello che vuole, non il Donbass, che fa ridere, ma Odessa, la Moldavia e salga su sino a lambire la Polonia e perché no, la Svezia. Dovrebbe essere tale l’impiego della distruzione e del terrore per compiere una simile epopea all’inverso che il nuovo impero russo assomiglierebbe ad una cattedrale nel deserto, un regno eretto sule macerie. Un destino già scritto dopo che su duecentomila abitanti di Mariupol solo sette mila hanno ricevuto i passaporti russi, Il tre per cento della popolazione. Nemmeno Fouché, che pure distrusse Lione, sarebbe in grado di compiere una tale decimazione. Nemmeno un pazzo sanguinario come Putin gli si lasciasse campo aperto sarebbe in grado di spingersi a tanto, per quanto possa accarezzare l’idea. In proporzione, ucraini, moldavi, polacchi, svedesi, lituani, più di settanta milioni di uomini, dovrebbero essere ridotti fra evacuazioni e bombe a 170 mila. Quella di Putin non è nemmeno un’illusione, è una autentica cecità che lo rende incapace di vedere anche solo il contorno della realtà che lo circonda.