La norma presentata dal deputato di Azione Enrico Costa (approvata dalla Camera, dovrà essere discussa in Senato) che vieta la pubblicazione, anche parziale, dei provvedimenti cautelari è, in sostanza, un bavaglio alla libertà di informazione. Infatti il malcelato intento non è quello di tutelare la reputazione degli indagati, ma di togliere ai giornalisti la possibilità di informare correttamente l’opinione pubblica pubblicando documenti integrali o stralci tra virgolette. Mi occupo di cronaca giudiziaria da cinquant’anni e posso dire con cognizione di causa che le maglie della rete che controlla l’informazione sono sempre più strette. Non è una questione di destra o sinistra, ogni cambiamento peggiora la situazione e concentra sempre più il potere discrezionale nelle mani dei magistrati, soprattutto dei procuratori della Repubblica e dei loro sostituti che scelgono a quali giornalisti (o pseudo tali) fare arrivare documenti più o meno coperti da segreto istruttorio, e quando farglieli arrivare. Altrettanto fanno gli avvocati, ma almeno loro hanno l’alibi che devono tutelare i loro clienti. Così l’informazione è sempre più parziale e avvelenata, e per il cittadino è sempre più difficile distinguere una notizia genuina da una inquinata. Andiamo incontro a una campagna elettorale che si preannuncia incandescente e di colpi di scena giudiziari ne vedremo un giorno sì e l’altro pure.
Rispetto al passato, poi, c’è in aggiunta la giungla dei social media con l’applicazione dell’intelligenza artificiale, dove non è difficile far filtrare messaggi anonimi per screditare questo o quel personaggio, e il cronista si trova spesso fra le mani una patata bollente senza avere la possibilità di controllare cosa contenga.
Di questa nuova norma, difesa dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni durante la conferenza stampa del 4 gennaio, non si sentiva il bisogno; invece è necessaria una riforma che semplifichi le procedure giudiziarie, sempre più ingarbugliate, tanto che spesso sembrano fatte apposta per allungare i tempi dei processi fino ad arrivare alla prescrizione dei reati, e che metta uno steccato invalicabile tra i magistrati che fanno le indagini (pubblici ministeri) e quelli che poi le devono valutare (giudici) perché sono mestieri diversi con interessi inconciliabili. Oppure consentiamo anche agli avvocati di diventare giudici, in fin dei conti le toghe indossate da giudici, pubblici ministeri e avvocati sono molto simili.