Sette giorni di lutto nazionale a camere chiuse possono apparire eccessivi se si considera che il defunto per quanto illustre, non era un Capo di Stato. Solo Mao, Fidel Castro e più recentemente la regina d’Inghilterra, i cui funerali interruppero persino due giornate del campionato di calcio inglese che non si ferma nemmeno a natale o a capodanno, hanno avuto simili onoranze funebri. Se invece si vuole considerare questa settimana come una pausa di riflessione, ben venga. Berlusconi ha aperto la stagione dell’alternanza di governo che l’Italia prima della sua ascesa politica non conosceva. Dal 1948 al 1994 la Repubblica aveva sempre espresso una maggioranza di governo incentrata sul partito della democrazia cristiana con piccole varianti e quattro soli presidenti del consiglio erano stati non democristiani, Spadolini, Craxi, Amato e infine Ciampi. Quarantasei anni senza alternanza di governo, era qualcosa di inconcepibile per qualsiasi sistema democratico occidentale. L’Italia appariva come la grande anomalia europea. Tempo due anni dal primo governo Berlusconi ed ecco un governo di segno opposto, poi un nuovo governo Berlusconi, poi di nuovo un opposto, ancora Berlusconi dal 2009 al 2011, quando si instaurò un governo di solidarietà nazionale. Fra mille polemiche e difficoltà l’Italia aveva finalmente vissuto il brivido dell’alternanza, anche se poi sembrava ripiegata sul compromesso storico.
Tralasciamo il fatto che i partiti costituzionali erano stati eliminati dalla scena, quando nei grandi paesi dell’occidente, mai a nessuno era venuto in mente di chiuderli per poi riciclarne gli appartenenti in un fenomeno di trasformismo degno dell’Italia di Giolitti. Ancora non si conosceva Macron. In ogni caso si poteva dire che in un modo o in un altro la democrazia italiana era finalmente diventata matura, ovvero non c’era più un blocco elettorale destinato a restare opposizione comunque e inevitabilmente, ed è accaduto che sinistra e destra si siano via via prese le loro responsabilità di governo, persino direttamente, esprimendo un presidente del Consiglio, D’Alema nel 1998 e oggi Meloni. Vi sarebbero da considerare anche le esperienze di Letta, Renzi e Gentiloni, non fosse che si tratta pur sempre di tre esponenti provenienti nella loro formazione politica dal partito che fu di De Gasperi al potere per 50 anni.
Quale sia il destino autentico della vita democratica, se questo si compie con l’alternanza, o semplicemente con la ratificazione del voto popolare che potrebbe anche non cambiare mai, è dibattito per filosofi e storici. I politici devono preoccuparsi se la democrazia, quale sia la forma che sceglie, produce dei risultati utili allo sviluppo della vita repubblicana, cioè della cosa pubblica. Uno sviluppo che si ebbe negli anni del centrismo, quelli dei governi Dc, Pri, Psdi, e anche per certi versi nei primi momenti del centrosinistra, con l’ingresso del Psi nella stanza dei bottoni, fino al suo esaurimento con Tangentopoli. E vi sono dati storici inoppugnabili per dimostrarlo. Cosa molto più difficile da riscontrare è un qualche sviluppo sociale ed economico in questi anni recenti dell’alternanza. Si potrebbe dire che questo è il giudizio di una fazione che ha faticato in maniera eccezionale in tale periodo, tanto da dover uscire dal governo e dal parlamento dove pure si era abbarbicata dal secondo dopoguerra alla fine del secolo scorso. Non fosse che il voto espresso dagli italiani nel 2018 al movimento cinque stelle testimonia un giudizio di insoddisfazione generale. Un partito fondato da un comico, all’insegna del “vaffa” schiantava in un colpo solo i due blocchi dell’alternanza. Ecco l’alternativa all’alternanza stessa. Se mai la maggioranza degli italiani fosse stata soddisfatta dell’esperienza bipolare, instauratasi con Berlusconi, non ci sarebbe mai stato il fenomeno grillino, accompagnato poi da un costante aumento dell’astensionismo. Che poi anche il movimento 5 stelle abbia mostrato limiti altrettanto evidenti e si sia ritornati ad una riformulazione del vecchio bipolarismo, il destra-centro, è di relativa importanza. La domanda che ci troviamo di fronte è sempre la stessa. Questo paese, la nazione, se si preferisce, è in grado di fare un qualche passo avanti? Perché sembrerebbe di tornare sempre al punto di partenza. In questo caso particolare, con il Pnrr incerto, nonostante le dichiarazioni roboanti, varrebbe la pena di prepararsi ad una nuova stagione di solidarietà nazionale.
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