Il divertente siparietto in stile anni ’70 del secolo scorso, per cui ospiti di una trasmissione televisiva, il professor D’Orsi ed il collega di Borgonovo si accusano di dire scemenze, cela l’origine di una questione che viene prima di tutto, quale quella democratica. D’0rsi è stato interrotto mentre stava elegantemente sostenendo come secondo Tocqueville la democrazia si fonda su un equilibrio, tale per il quale la minoranza possa diventare a sua volta maggioranza, ovvero che la maggioranza consenta alla minoranza di sostituirla. Questo sarebbe, secondo il pensiero di Tocqueville, rivelato dal professor D’Orsi, il significato di democrazia. Sicuramente il professor D’Orsi ha conoscenze dell’opera di Tocqueville più profonde delle nostre che in verità abbiamo faticato a seguirlo. Perché se, come egli ha ricordato, la maggioranza per Tocqueville esercita una dittatura, fino a qui non c’è dubbio alcuno, dove sarebbe la possibilità di equilibrio evocato da D’Orsi? Mai saputo che la dittatura consenta un equilibrio di poteri di qualche tipo, per cui se per Tocqueville il potere della maggioranza comporta una dittatura, persino priva di un mandato temporale come pure era previsto dalla Repubblica di Roma e sostanzialmente anche dalla Repubblica Giacobina, “il governo rivoluzionario sino alla fine della guerra”, il potere della maggioranza non comporta democrazia alcuna.
La società americana, per lo meno quella del 1830, appariva a Tocqueville più conformista di quella spagnola sottomessa all’Inquisizione dove la libertà era una vuota parola. Senza il riparo offerto all’individuo da un re, una corte, sotto la dominazione del solo popolaccio, l’America non ha nemmeno un grande scrittore, chiosava Tocqueville, il potere della maggioranza diviene l’oppressione più atroce al mondo. La democrazia americana era una minaccia rivolta all’intera Europa, anche nel caso in cui la minoranza arrivasse al potere, perchè vi arriverebbe come nuova maggioranza e si comporterebbe come tale. Questo il pensiero di Tocqueville che faceva scrivere al conte di Cavour, con soddisfazione, non mi pare un grande simpatizzante democratico, e consentiva al dottrinario nazista Karl Schmitt, una volta arrestato dagli americani propriamente, un pieno sentimento di identificazione. Speriamo dunque che il professor D’Orsi possa tornare con calma sull’argomento ed offrirci qualche chiarimento, dato che nelle pagine della celebre La Democrazia in America, che vanno da 260 a 264, non si scorgono equilibri di alcun genere.
Quando si incontra il pensiero di Tocqueville si ha a che fare con l’elaborazione intellettuale di un discendente, fra gli altri, di Malesherbes, l’avvocato di Luigi XVI, vale a dire una schiatta abituata a meditare sull’opera di Montaigne a dieci anni e che studiava Polibio dai cinque. Ciò non toglie che La Democrazia in America sia pur sempre, per quanto brillante, un libro di impressioni di viaggio, non paragonabile allo studio d’archivio e sovra documentato de L’Antico Regime e la Rivoluzione, in cui Tocqueville mostrerà più tardi le sue eccezionali doti di storico. Egli comunque il problema democratico lo delinea perfettamente nella Democrazia, anticipando la guerra civile americana di trent’anni buoni, quando le minoranze rifiutano l’abolizione della schiavitù e difendono il loro diritto di proprietari con le armi. Ecco compiuta la visione profetica di Tocqueville sulla dittatura della maggioranza che vede la presidenza Lincoln persino violare la dicitura federalista della Costituzione repubblicana. Tocqueville muore due anni prima dello scoppio del conflitto e non potrà cantare vittoria, si contenta comunque di spiegare la Rivoluzione esattamente sul filo logico della sua Democrazia. Così come l’America aveva sostituito un despota ad un altro. la Francia si era illusa di poter sfuggire al suo sogno di grande potenza continentale e lo aveva semplicemente aggiornato. Questo pensiero politico di Tocqueville si rivela pienamente nel suo intervento parlamentare sulla spedizione romana nel 1849, dove egli davanti ad una camera costernata, spiega le ragioni per cui era stata soppressa una Repubblica sorella, ed in vero non convincerà nemmeno Napoleone Terzo, che lo destituisce con il suo compare, il generale Oudinot, subito messo in pensione. Ma il solo fatto che Mazzini avesse evocato all’Assemblea Romana, “la democrazia pura”, appariva sufficiente ad un Tocqueville per intervenire con la massima solerzia. In generale è difficile trovare nella storia occidentale il profilo di un tale reazionario. Ad esempio Oudinot vuole schiacciare la Repubblica, non per i suoi principi, ma per l’onore dei suoi soldati subito presi a calci da Garibaldi.
Quello che invece stupisce ancora di Tocqueville è la considerazione che hanno di lui i vecchi marxisti come D’Orsi. Non che non sia meritata tanta riverenza, parliamo di un’intelligenza e di un’arte formidabile, non fosse appunto così difficile trovare in pieno 800 un pensatore tanto avverso come Tocqueville al potere popolare. Tocqueville rimpiange il potere dei re e dei cardinali, detesta la nascente borghesia ed il processo capitalistico avviato, rievoca un nebbioso passato. Per cui la domanda è se i marxisti proprio non lo abbiamo capito Tocqueville, piuttosto che abbiano trovato il loro autentico capostipite. Anche Marx in fondo su Mazzini, la borghesia, il capitalismo, la pensava più o meno come Tocqueville.
foto Domaine de Vizille, MDLRF