La Camera dei Deputati ha celebrato, con qualche anticipo, il ricordo solenne di Giacomo Matteotti, il 10 giugno sono cent’anni dall’assassinio. Fra le autorità intervenute non c’era un solo socialista. Il banco di parlamentare di Matteotti non sarà più assegnato e meno male dal momento che almeno in questa legislatura non c’è più neanche un socialista eletto. Ammesso che il presidente Violante, relatore all’evento, faccia parte del partito socialista europeo, la sua carriera politica si è svolta interamente nelle fila del partito comunista italiano e poi dai suoi derivati, che con il partito socialista in quanto tale hanno avuto più contrasti che altro, a cominciare dagli anni venti del secolo scorso. Il presidente della Repubblica ed il Presidente Casini sono di formazione democristiana. I presidenti Meloni, il presidente Fini provengono da un partito contrapposto a quello socialista del secondo dopoguerra e il presidente La Russa vanta un busto di Mussolini nel suo appartamento, ovvero del responsabile del delitto di Matteotti. Il presidente Fontana è leghista, il partito di quello con il cappio. Si sarebbe potuto invitare almeno un esponente del Psi che pure esiste ancora, a leggere l’ultimo intervento di Matteotti in Aula. Gli si è preferito un attore. Più che il ricordo del povero Matteotti si è celebrata la scomparsa del partito socialista italiano che con il viso di Matteotti 50 anni fa esatti, stampava la sua tessera nazionale.
Pensate se, per il centenario della proclamazione della Repubblica, il prossimo 2 giugno 2046, ci fossero solo monarchici a Montecitorio. Un brivido ti percorre la schiena. Ancora nel 1992 il presidente del consiglio era socialista, nessuno avrebbe mai potuto immaginare che tempo trent’anni il Psi non avrebbe più avuto un solo rappresentante in parlamento, peggio, che nemmeno può concorrere alle elezioni politiche perché lo storico partito di Matteotti non è in grado di raccogliere le firme. Un Matteotti oggi potrebbe ancora nascere, ma non candidarsi. Quali sono le garanzie per la Repubblica se scompaiono i partiti che l’hanno sostenuta nell’Italia monarchica, hanno sfidato il fascismo, hanno scritto la Costituzione? Questo il problema.
Di una “Repubblica senza repubblicani”, scrive lo storico Edgar Quinet nella sua opera La Rivoluzione per definire la crisi del Direttorio in Francia. I tapini prima combatterono i realisti, che avevano rialzato la testa, poi i giacobini che li volevano destituire, alla fine esausti dalla lotta delle fazioni opposte, consegnarono la Francia ai militari. Un po’ come se un domani, fra Meloni e Schlein, si affermasse Vannacci. Chi può assicurare che lo scontro fra sinistra e destra in cui l’Italia si dibatte dal 1994 non provochi lo sfinimento politico del paese? Il presidente del Consiglio offre una soluzione di alta stabilità il premierato. Una Repubblica in cui non ci si accorge che il premier è un istituto monarchico, è già morta. La costituzione repubblicana scaturita dal voto del 2 giugno del ’46, il governo lo fa eleggere dal parlamento, il presidente del consiglio, viene indicato dal capo dello Stato. Il passaggio parlamentare stempera i conflitti politici perché le forze che si misurano alle elezioni non debbono necessariamente essere un contro l’altra armate. Devono poter collaborare e la Repubblica stessa, per essere realizzata, presume coesione. Qua siamo arrivati agli insulti e alle mani. Visti certi ceffi in circolazione, le cose possono anche peggiorare e non basta il ricordo di Matteotti, servirebbe anche l’ispirazione politica che l’animava per tenere viva la prospettiva repubblicana. Quali difetti potesse avere il partito socialista e ne aveva ovviamente, il suo contributo all’edificio della Repubblica democratica antifascista, fu fondamentale. Magari oggi abbiamo partiti con difetti peggiori, che non hanno dato nessun contributo, se non quello della commemorazione, che ha assunto i toni della recita. Buon due giugno.