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La Repubblica esige il massimo, non il minimo

Riccardo Bruno di Riccardo Bruno
23 Luglio 2023
in L'editoriale
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Il 26 luglio del 1793 la Convezione nazionale vota il decreto di morte per gli accaparratori. Il 4 maggio precedente era stato istituito il prezzo di acquisto massimo sulle farine e le granaglie per dipartimento. Tempo tre mesi si era già dovuti ricorrere alla ghigliottina. Ciononostante l’11 settembre il maximun diventa nazionale ed il 29 viene fissato anche per i salari. Sono i mesi in cui Marsiglia e Lione si rivoltano, Tolone è passata agli inglesi ed i parigini scendono in strada perché manca il sapone. Il comitato di salute pubblica invia le armate e mette in votazione il maximum per estenderlo a tutto il territorio nazionale. Se si scrutano i convenzionali da cima a fondo, fra avvocati, preti, militari, ex nobili, commercianti e sicofanti, trovate un solo autentico intenditore di questioni economiche, Pierre Joseph Cambon. Cambon che è l’autentico tesoriere della Francia rivoluzionaria già dalla Assemblea legislativa, in quei giorni si occupa della difesa del valore dell’assegnato, piuttosto che della pubblicazione del gran libro del debito pubblico. Sulle varie imposizioni del maximum, ben tre in sette mesi, non mette becco. La ragione? Il maximum non fu una misura economica, fu semplicemente una misura politica. La Francia rivoluzionaria sotto attacco dall’interno e dell’esterno, voleva far sapere ai suoi difensori presi dalla strada e dalle campagne, che tutti erano eguali. Per questo i comitati si inventarono il maximum che economicamente fu un disastro, ma che politicamente tenne unita la Comune rivoluzionaria e la Convenzione, la sanculotteria al giacobinismo.

Quando si parla di maximum principalmente si pensa alle derrate alimentari di prima necessità. Gli effetti di questa misura vennero esposti da due storici di epoche diverse quali Taine e Cochin. Una volta stabilito il massimo dei prezzi, le derrate scomparvero dai mercati, iniziò l’accaparramento e la necessità delle stesse fece triplicare il prezzo. Poiché la Francia era un paese molto ricco con vastissime proprietà private, si trovarono facilmente compratori pronti a procurarsi i beni necessari, mentre gli indigenti, ne rimasero affatto privi. La Convenzione incaricò un comitato di sorveglianza per colpire gli accaparratori. Nel complesso Parigi riuscì ad essere approvvigionata, il resto del paese, si misurò con la guerra civile. Molto meno si conosce il maximum sui salari, legge che era volta ad evitare un eccesso di arricchimento per gli operai specializzati. L’ imposizione creò disordini fino a tutto il 1794, quando venne abolita. Il 9 termidoro agli operai di Parigi non importava nulla del decreto di arresto di Robespierre, erano mobilitati nelle piazze da una settimana contro il maximum salariale, perché volevano guadagnare di più. La Francia rivoluzionaria beata lei era ancora una società in piena espansione, il debito pubblico interamente assorbito dalle proprietà sequestrate del clero e degli emigrati, la spesa pubblica azzerata una volta trasferito il re da Versailles alle Tuileries e poi al Tempio, le imposte crollate con la soppressione delle decime del clero e la decapitazione, in senso fisico, Lavoisier, il grande chimico, venne giustiziato, dei fermiers. La guerra si manteneva da se con i saccheggi e la tassazione dei vinti e produceva ricchezza aggiunta.

Non dovrebbe essere molto difficile di converso capire quali possano essere gli effetti di un minimo salariale in un paese ad alto debito pubblico, con l’inflazione che consuma il salario quale possa essere, e una disoccupazione che non puoi far assorbire in tempo di pace arruolando e mandando al fronte. In più, non si dispone nemmeno della pena di morte per i trasgressori delle leggi. Invece c’è una questione fondamentale che riguarda lo sfruttamento. La Francia repubblicana, borghese e capitalista, educata da Diderot, non credeva nel concetto di sfruttamento. Combatteva la diseguaglianza. La Francia aveva abolito il 4 agosto del 1789 la schiavitù, emancipato la servitù della gleba, aperto grandi strade di comunicazione. Nessuno era più costretto ad accettare il lavoro che gli veniva proposto. Se però c’era da lavorare per due pezzi di pane ed avevi fame eri libero di farlo. In Italia invece la schiavitù c’è ancora e se il padrone cattivo ti paga poco, ci vuole un governo buono che ti aumenta il salario per farti diventare uno schiavo felice. Per lo meno questo si pensava alla Cgil da Di Vittorio a Trentin, quando ci si misurava con la proposta di salario minimo.

Vizille, Musée de la Révolution française

Riccardo Bruno

Riccardo Bruno

Riccardo Bruno si è laureato in Storia della Filosofia presso l'Università di Roma La Sapienza nel 1988. Dal 1987 al 1989 collabora all'Ufficio esteri del PRI diretto dall'onorevole Vittorio Olcese. Dal 1994 è capo ufficio stampa del PRI, dal 1995 giornalista professionista iscritto alla stampa parlamentare. Nel 1999 è capo redattore de La Voce Repubblicana. È stato poi editorialista per il Foglio di Giuliano Ferrara e l'Indipendente di Vittorio Feltri. Dal 2019 è prima vice direttore de La Voce Repubblicana e poi direttore politico

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