Il motivo per cui il presidente degli Stati Uniti d’America si è recato a Tel Aviv in un’ora tanto cupa e critica della situazione internazionale è quello di voler mostrare la completa solidarietà del popolo americano allo Stato di Israele. Le piazze del mondo arabo e mussulmano possono agitarsi fin che pare loro, le opinioni pubbliche tentennare, c’era la notizia dell’ospedale di Gaza colpito, l’America non ha nessun dubbio da quale parte stare, ovvero dalla parte del democratico Stato di Israele che si è trovato sotto assedio dal primo giorno della sua istituzione in un lembo di terra privo di risorse naturali, praticamente desertificato e per di più acquistato regolarmente ai precedenti proprietari. Un lembo di terra, Israele è grande quanto la Sicilia che occupa solo una parte residua di quella che era la Palestina romana, per lo più insediato sui confini minimi del regno di Giudea ed assegnatole dalle nazioni vincitrici della seconda guerra mondiale perché gli ebrei trucidati in Europa potessero condurre una vita sicura. Per cui l’attacco subito ai cittadini israeliani il sette ottobre scorso è da considerarsi per prima cosa una sconfitta degli alleati che hanno consentito la nascita di Israele.
L’invito di Biden rivolto a Netanyahu di non ripetere gli stessi errori commessi dall’America dopo l’11 settembre non riguarda l’aspetto di cosa fosse politicamente giusto o sbagliato nella reazione statunitense, quanto di misurare gli effetti conseguiti da questa. L’Iraq oggi è un paese più sottoposto all’influenza iraniana che a quella delle democrazia occidentali e l’Afghanistan, semplicemente avrebbe avuto bisogno di una presenza militare americana lunga 50 anni per stabilizzarsi, cosa strategicamente insensata. Oltre tutto i servizi statunitensi non ci hanno mai saputo dire con certezza che occorresse far saltare Saddam ed il regime talebano per isolare Bin Laden ed eliminarlo ad Abbotabad, cioè in Pakistan, o se comunque lo sceicco si sarebbe rifugiato comunque in quel paese dal primo momento. Sotto questo profilo Israele si trova in una situazione più agevole sapendo esattamente dove sono i responsabili degli eccidi commessi contro i suoi connazionali.
Chi conosce l’Intelligence e la storia israeliana, sa che il primo obiettivo che si è posta Gerusalemme è quella di liberare gli ostaggi presi, per questo sono stati presi, quanti che siano rimasti, perché appunto la vita degli ebrei è sacra. Successivamente, eliminare tutti gli aggressori individualmente coinvolti. Le due operazioni, strettamente legate, sono oggettivamente complesse e tali da non consentire nessun atto che non possa essere misurato con le loro possibilità di successo. Solo sotto questo profilo, invadere Gaza, o un’azione di rappresaglia qualunque, non avrebbe particolare senso e rischierebbe di allontanare il governo israeliano dai suoi programmi. Da parte sua, l’America che pur darà tutto il sostegno necessario ad Israele in questo senso si preoccupa principalmente di tenere l’area sotto controllo perché è già arrivata al limite di esplosione e questo dovrebbe far riflettere meglio su chi rappresenta una minaccia che domani potrebbe essere rivolto anche contro di noi. Traspare da parte del mondo islamico, un furore religioso completamente accecato dal fondamentalismo. Poi l’America ha già aperto un secondo fronte, dove la Russia che in verità inizia a sentirsi il fiato sul collo, potrebbe venir rinfrancata da una destabilizzazione del medio oriente tale dal distogliere quella che riguarda lei.
E’ interessante poi notare come i colloqui russo cinesi e arabo americani, Biden ha infatti telefonato ad Abu Mazen ed Al Sisi, siano stati accolti in maniera completamente opposti dagli osservatori italiani. Il vice direttore del Corriere della Sera ha detto che sono un indice positivo di ripresa del dialogo, il direttore della Sette, che vanno accolti con preoccupazione. Di sicuro c’è che in Italia si capisce poco o niente.
Galleria fotografico del primo ministro israeliano