Perseguire la stabilità politica cambiando la legge elettorale significa partire con il piede sbagliato. Per lo meno la stabilità del governo non coincide con la stabilità del sistema politico. La Democrazia cristiana ha dato 45 anni di stabilità politica all’Italia, rispetto al quale la durata dei governi era insignificante. Se Cossiga, da ministro degli Interni, diventa presidente del Consiglio, o capo dello Stato, cosa cambia? una discontinuità politica avvenne con l’estromissione di Fanfani e poi, con la morte di Moro. La stabilità del governo Craxi ha dato maggiori frutti al paese del debole governo Goria? Allora bisognava dare più voti a Craxi, non cambiare la legge elettorale, perché se per legge ci si fosse dovuti tenere Goria per cinque anni alla guida del paese, sai che disastro. E se Craxi venne coperto dalle monetine senza nemmeno essere più presidente del Consiglio, figurarsi cosa sarebbe successo nel caso in cui il suo governo fosse durato sino alla nottata del Raphael, nemmeno due legislature.
Un esempio perfetto di stabilità di governo in Italia è data dal governo Mussolini. Infatti la Costituzione repubblicana non si preoccupa della stabilità del governo, semmai si preoccupa che siano stabili i principi del governo, che ora si vorrebbe cambiare. Il problema della costituzione repubblicana è in genere la sovranità e questa viene garantita solo dai suoi interpreti. A rigore, nemmeno la dittatura garantisce la stabilità politica perché la dittatura sostituisce i parlamenti con l’esercito e l’esercito rischia di ammutinarsi, vedi i conflitti a Roma nel passaggio fra Repubblica ed Impero e poi la fase conclusiva dell’Impero che colleziona un imperatore all’anno. Quale è la condizione con cui la stabilità politica viene soddisfatta? La Francia rivoluzionaria si volge al consolato, poi ad un consolato a vita, poi ad un imperatore, poi alla successione, infine alla successione con sangue reale austriaco. A quel punto tanto vale far tonare i Borboni, o il loro cugino, e si ricomincia la trafila da capo. Solo l’assolutismo assicura un adeguato profilo di stabilità, mentre giusto un pazzo può confidare nella riforma del sistema elettorale. Il “sindaco d’Italia” è un controsenso bello e buono mai sperimentato. In generale il governo di un comune ha maggiore continuità di un governo nazionale, quale sia il sistema elettorale escogitato. Semplicemente i partiti regionali, figurarsi quelli cittadini, sono più deboli dei partiti nazionali rispetto ad un presidente eletto.
Una repubblica democratica persegue la stabilità politica, la consiglia, non può imporla per legge dello Stato. Nei 75 anni di vita repubblicana, l’Italia ha avuto tre governi che si possono definire temporalmente stabili, uno con il sistema proporzionale, il primo Craxi, e i due di Berlusconi. Quello del 2008 tutti non vedevano l’ora di farlo cadere, alla faccia della stabilità. Sarebbe il caso di dire che la legge elettorale, quale che sia, definisce i criteri della rappresentanza non la stabilità. Una riforma in senso presidenziale della Repubblica serve invece alla concentrazione del potere in un individuo eletto e questo è per lo meno funzionale alla stabilità. Non mancano le controindicazioni. Perché se esautori il parlamento, per evitare la rivolta di piazza permanente, rifluisci nello Stato di polizia. Se invece concedi al parlamento tutti i poteri di controllo necessari, ecco che rischi la paralisi. Gli Stati Uniti d’America e la Francia della quinta Repubblica hanno sempre dovuto misurarsi con questo tipo di problemi, in più, nel caso statunitense, con quello dell’assassinio del presidente. Ne sono stati uccisi ben quattro.
Poi si capisce che partiti che non hanno sottoscritto la Costituzione vigente vogliano scriversene una a misura. Ne hanno combinate di tutti i colori, a cominciare dalla riforma del titolo V. Non contenti si è toccata la scuola pubblica, e persino le “Disposizioni transitorie e finali”, che in quanto transitorie, non sono transitabili, ed in quanto finali, nemmeno modificabili. Non è mancato lo scempio sul numero dei parlamentari. Non che non si possa rivedere quantitativamente la rappresentanza, per carità. È solo indecente farlo adducendo ragioni di risparmio, soprattutto se il costo di mantenimento delle Camere aumenta. Lo Stato vuole risparmiare? Dimezzi lo stipendio ai parlamentari.
Perché stupirsi allora se, dopo tanti anni di confusione, si vuole ordine, tranquillità, prosperità? Perché la Spagna ha rinunciato a Franco? In Italia c’è tanta attenzione al fascismo, finito nel 1943, alla guerra civile, conclusa tre anni dopo, quando in Spagna ci si guarda bene dal rivangare una dittatura spentasi nel 1975. Bisogna riconoscere agli spagnoli una migliore memoria. Se il loro governo cade dopo sei mesi, magari a qualcuno dispiace. Nessuno si straccia le vesti.
Foto Vetrina della Fondazione Spadolini Firenze