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Lo sciocchezzaio bipolare si è già scatenato

Riccardo Bruno di Riccardo Bruno
16 Agosto 2022
in L'editoriale
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Il possibile sciocchezzaio che si esprime regolarmente in una campagna elettorale è già stato sciorinato prima ancora della presentazione delle liste. La sciocchezza più grande e più grave di tutte è che siamo di fronte ad uno scontro bipolare destra, sinistra, come nel 1948. Perché anche se c’è un problema con la Russia di oggi, forse persino più grave di quello di allora, i filo russi sono un po’ dappertutto, esclusa l’area che si è radunata intorno a Renzi e Calenda, questa pienamente europeista ed occidentale. Poi c’è una legge elettorale, che come si è visto dalle passate elezioni, corregge il maggioritario in maniera rilevante. Infine sul piano squisitamente politico accadde, che il terzo polo, il movimento 5 stelle divenne il primo, per cui perché mai non riprovarci.

Il successo del movimento 5 stelle nelle elezioni del 2018 dovrebbe essere il primo spunto di riflessione utile alla situazione attuale. Quale formidabile occasione persa. L’elettorato aveva compreso perfettamente la necessità di superare il bipolarismo degli ultimi vent’anni e  dato fiducia ad un movimento venuto dal basso.  Grillo soprannominò i suoi eletti, “la Montagna”. La Montagna alla Convenzione radunava Danton, Marat, Saint Just, Carnot, Fouchè, Baudot, Dubois Crancé, Robespierre. Uomini che Victor Hugo definiva tutti dal cuore di bronzo, pronti a farsi a pezzi per il bene della Francia. La Montagna grillina si diede un capo che per prima cosa siglò un accordo con la parte avversa, la Lega e poi non contento, con l’altra parte ancora più lontana, il Pd. I risultati? L’unica opposizione coerente, Fratelli d’Italia, dal 4 che era è schizzata al 20 per cento dei consensi, così il bipolarismo sconfitto si è rimesso in piedi, perché Conte ha dato la spinta per far cadere il governo di solidarietà nazionale che evitava uno scontro caricaturale fra due simili. I due poli hanno in comune che non saranno in grado da soli di governare il paese.

La campagna elettorale non è bipolare, perché il Pd ha rotto l’intesa con Conte compromettendo una vittoria, comunque difficile, nell’uninominale contro la destra. Mentre, il recupero proporzionale di tutti coloro capaci di superare il tre per cento, toglie seggi al partito, o alla coalizione vincente. Dopo il voto avremo una situazione non dissimile da quella della precedente elezione, ovvero un vincitore che non sarà anche autosufficiente come pure avveniva, almeno a parole, negli anni del maggioritario, che pure era corretto per essere considerato costituzionale.

E qui siamo alla sciocchezza più grande di tutte, quella che un partito a vocazione maggioritaria, si preoccupi dell’equilibrio e del rispetto della Costituzione, ad esempio che possa mai difenderla da un’opzione presidenziale.

“Siamo convinti da tempo che il semipresidenzialismo alla francese sia una opportunità”. Lo ha detto l’onorevole Meloni? No lo ha detto l’onorevole Peluffo, noto “veltroniano”, nel 2013 presentatore della proposta di legge in questione. Proposta firmata dall’altro “veltroniano” Martella, da “bersaniani” come gli onorevoli Misiani e Quartapelle, dai “dalemiani” Amendola e Manciulli, dall’onorevole Braga di “Area Democratica”. Tutto il pd che portò al governo Letta era favorevole al semipresidenzialismo, esclusa Rosy Bindi, uscita dalla scena politica. Rosi, la Costituzione, la voleva difendere. Il Pd aveva invece la stessa posizione espressa ieri dall’onorevole Meloni.

La cosa più probabile è che se Pd e Fratelli d’Italia dovessero essere i primi partiti scelti dagli italiani, decidano in fretta di liberarsi dei loro alleati e di formare un governo insieme. Hanno giù un’intesa sul semi presidenzialismo. Sono entrambi interessati a smontare l’agenda Draghi, visto che Letta ha subito imbarcato Fratoianni e Bonelli. Mentre Meloni non vede l’ora di sbarazzarsi di due alleati infidi come Berlusconi e Salvini che appena hanno potuto sono entrati in tutti i governi della passata legislatura per tradirli.

Questo lo scenario che si prepara, a meno che la lista a cui aderisce il Pri abbia un tale successo da poter mettere in riga tutti, come avrebbe potuto fare e non fu capace, il movimento cinque stelle nel 2018.

Tags: HugoMontagna
Riccardo Bruno

Riccardo Bruno

Riccardo Bruno si è laureato in Storia della Filosofia presso l'Università di Roma La Sapienza nel 1988. Dal 1987 al 1989 collabora all'Ufficio esteri del PRI diretto dall'onorevole Vittorio Olcese. Dal 1994 è capo ufficio stampa del PRI, dal 1995 giornalista professionista iscritto alla stampa parlamentare. Nel 1999 è capo redattore de La Voce Repubblicana. È stato poi editorialista per il Foglio di Giuliano Ferrara e l'Indipendente di Vittorio Feltri. Dal 2019 è prima vice direttore de La Voce Repubblicana e poi direttore politico

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