La manovra salute del Governo, al di là delle parole della Presidente del Consiglio e del ministro Schillaci, si presenta come una risposta insufficiente e inadeguata alla crisi della sanità pubblica, riflettendo un approccio miope che ignora le vere necessità del sistema.
Come Repubblicani condividiamo le preoccupazioni degli operatori sanitari in merito alla previsione di 880 milioni di euro per il 2025 che sarebbero del tutto insufficienti per far fronte alle tante urgenze del SSN: una cifra irrisoria che non compensa nemmeno l’inflazione e con la quale è impensabile potenziare la sanità pubblica e sostenere le riforme che incidano sulle liste di attesa.
Così, in un contesto in cui i servizi sanitari sono già sotto pressione, le misure proposte non solo non risolvono i problemi strutturali, ma rischiano di aggravare la situazione, consegnando la salute – diritto fondamentale sancito dalla Costituzione – nelle mani di pochi privilegiati.
La crescente fuga dei medici dagli ospedali pubblici è solo la punta dell’iceberg di una crisi ben più profonda.
Questo esodo è alimentato da carichi di lavoro insostenibili, stipendi poco competitivi e condizioni di lavoro che non garantiscono il rispetto della professionalità.
I migliori professionisti abbandonano il servizio pubblico, impoverendo il sistema e lasciando i cittadini a fare i conti con liste d’attesa interminabili e una qualità delle cure sempre più inadeguata.
La manovra del Governo, nel suo tentativo di razionalizzare la spesa, sembra dimenticare che la salute non può essere considerata una merce e che l’accesso alle cure deve essere garantito a tutti, indipendentemente dalle proprie risorse economiche.
In questo contesto, il rischio che verrebbe dell’autonomia differenziata si fa sempre più concreto. Se il Governo dovesse portare avanti questo modello, si creerebbe un sistema sanitario a due velocità, dove le regioni più ricche avrebbero accesso a servizi di qualità superiori, mentre quelle meno fortunate si ritroverebbero a lottare con un servizio sanitario inadeguato e sempre più carente.
Questa nuova organizzazione rischierebbe di amplificare i problemi già presenti, quelli che la riforma del Titolo V ha lasciato in eredità, con un’ulteriore frammentazione delle politiche sanitarie che rischia di danneggiare i cittadini, soprattutto quelli più vulnerabili.
Inoltre, l’ingiustizia sociale si manifesta in modo evidente nei tempi di attesa per le indagini diagnostiche, che in alcune aree avanzate, come l’Emilia-Romagna, possono arrivare a durare quasi due anni.
Queste attese estenuanti non solo compromettono la salute dei cittadini, ma amplificano il divario tra chi può permettersi di accedere al privato e chi, invece, è costretto a rimanere nel sistema pubblico.
Questo scenario contribuisce a creare una società in cui le disuguaglianze si ampliano, con cittadini di serie A che ricevono cure tempestive e di qualità, e cittadini di serie B che, a causa della mancanza di risorse, si ritrovano in balia di un sistema sanitario inefficiente.
Anche in una regione come l’Emilia-Romagna, storicamente considerata un modello di eccellenza nel campo della sanità, cominciano ad apparire segnali preoccupanti. Gli ospedali sono sempre più sotto pressione e le difficoltà nella medicina di base si fanno sentire.
I medici di base, pur essendo il primo punto di contatto per i cittadini, sono spesso lasciati soli, senza un adeguato supporto e integrazione nel sistema sanitario nazionale.
La creazione delle case della salute, sebbene rappresenti un passo nella direzione giusta per migliorare l’assistenza territoriale, rischia di rivelarsi insufficiente se non accompagnata da un adeguato coinvolgimento dei medici di base.
La concentrazione di professionisti nelle case della salute non garantisce automaticamente un miglioramento dei servizi. Affinché queste strutture possano funzionare come parte integrante delle ASL e del sistema sanitario nazionale, è fondamentale che i medici di base siano maggiormente coinvolti nel processo decisionale e che possano fornire una cura più integrata e accessibile alla comunità.
Solo attraverso un approccio che valorizzi il ruolo dei medici di base e la loro integrazione con il resto del sistema sanitario, si potrà garantire una risposta adeguata ai bisogni della popolazione.
In sintesi, la manovra del Governo, piuttosto che affrontare le reali necessità della sanità pubblica, sembra più interessata a mantenere una facciata di efficienza, ignorando i segnali di allerta che emergono da un sistema sempre più fragile.
Senza un intervento coraggioso e strutturale, rischiamo di vedere un servizio sanitario in cui la salute diventa un privilegio per pochi e non un diritto di tutti, come sancito dalla Costituzione.