Può il monismo aiutare i fisici moderni? Il fisico Heinrich Päs cerca di dare risposta a questa domanda nella sua opera L’Uno. L’idea antica che contiene il futuro della fisica, edito in Italia da Bollati Boringhieri, grazie alla traduzione di Simonetta Frediani. Per Päs la visione del mondo monista, che da Eraclito a Goethe ha cercato di unificare le parti nel Tutto, segue in modo diretto anche dai risultati della meccanica quantistica. Eppure siamo portati a credere che monismo e scienza, monismo e natura, non vanno d’accordo: anzi crediamo che l’ipotesi del “tutto è Uno” non sia affatto adeguata. Ora, se c’è qualcosa che dovrebbe spingerci a cambiare idea questa è la scienza sperimentale della meccanica quantistica e la matematica che ne è alla base. Una delle caratteristiche più note della meccanica quantistica è che non c’è una netta separazione tra particelle e onde: infatti, quello che era considerato una particella prima, come ad esempio un elettrone, a volte può comportarsi come un’onda, mentre le onde, come ad esempio la stessa luce, possono assorbire ed emettere energia in proporzioni discrete, se comprese come quanti simili a particelle. L’onda però non esiste in un luogo specifico ma si estende sulla superficie di uno stagno o sull’estensione dell’Universo; nel gergo della fisica l’onda è “non locale”. Ciò significa che un oggetto quantico descritto come un’onda esiste contemporaneamente in diversi luoghi finché viene misurato. In quell’istante, l’oggetto sembra collassare in una delle sue posizioni potenziali. Questo processo ci conduce all’aspetto più strano della meccanica quantistica: l’entanglement, una proprietà di sistemi quantistici composti da due o più particelle. Nel 1935 Erwin Schrödinger presentava l’entanglement come il tratto caratteristico della meccanica quantistica. Orbene, se consideriamo di osservare un modello d’onda su uno stagno, sappiamo che questo è il risultato di due increspature combinate, come due sassi lasciati cadere nell’acqua. Guardando la superfice dell’acqua, infatti, non siamo in grado di dire quali fossero queste increspature individuali all’inizio. L’evento potrebbe essere derivato da due sassi che causano due increspature uguali nell’acqua, o da un piccolo sasso che causa un terzo dell’increspatura e un sasso più grande che ne crea due terzi. Seguendo questa sottile logica, nulla di ciò che vediamo esiste davvero. Per Päs lo stesso vale per i sistemi quantistici intrecciati: potremmo conoscere perfettamente il sistema completo ma allo stesso tempo non sapere nulla dei suoi costituenti fino a quando non li fissiamo con un esperimento. In un tale esperimento, il solo atto di misurazione distruggerebbe l’intero originale. È stato Schrödinger a riassumere chiaramente cosa significa l’entanglement: “La miglior conoscenza possibile di un insieme non comprende necessariamente la miglior conoscenza possibile di tutte le sue parti (…) quando due sistemi, dei quali conosciamo gli stati sulla base della loro rispettiva rappresentazione entrano temporaneamente in interazione fisica dovuta a forze note che agiscono tra loro, … e quando, dopo un certo periodo di reciproca influenza, i due sistemi si separano di nuovo, non possiamo più descriverli come prima dell’interazione, cioè dotando ognuno di una propria rappresentazione” (53-54). L’entanglement è il modo della meccanica quantistica di integrare le parti in un Tutto e, quando si applica l’entanglement all’intero Universo, se finisce con l’assumere con il principio di Eraclito: “Da tutte le cose Uno”. Seguendo questa logica, l’unica cosa che esiste veramente è l’Universo nel suo complesso. Qui, però, nasce il problema: anche se questa logica è facile da seguire, la conclusione sembra bizzarra e lontana dal consenso generale, persino tra gli stessi fisici (si pensi alle posizioni di Niels Bohr, Werner Heisenberg e Wolfgang Pauli). Fu proprio Pauli a dire che si poteva guardare la natura con due occhi diversi, vedendo sia particelle che onde, ma se l’osservatore cercava di aprire entrambi gli occhi contemporaneamente, si sarebbe perso. Questo sembrava suggerire che la realtà è fondamentalmente inosservabile, velata… proprio come Iside. Ma la fisica è una scienza sperimentale. Di conseguenza, i fisici non sono facilmente convinti dell’esistenza di una realtà quantistica nascosta, anche se questa realtà potrebbe unificare particelle o onde. Su questo punto Bohr, Heisenberg e Pauli almeno rimasero scettici. Quando cercarono di dare un senso alla meccanica quantistica, giunsero alla conclusione che ciò che vediamo è reale e che non esiste una realtà quantistica sottostante, fondamentale, nascosta. Secondo questa “interpretazione di Copenaghen”, la meccanica quantistica non descrive una realtà più profonda ma solo la nostra conoscenza incompleta della natura. La funzione d’onda di Schrödinger, espressione matematica che descrive le diverse probabilità che un oggetto quantistico ha di trovarsi in uno stato o una posizione dati, non fu accettata come modello della natura ma compresa solo come uno strumento per prevedere cosa registrerebbero i nostri dispositivi di misurazione. “Non c’è un mondo quantistico”, affermava, secondo quanto riferito, Bohr. Per molti anni, questa visione fu l’interpretazione “ortodossa” del significato della meccanica quantistica. Infatti, osserva Päs, dal momento in cui il saggio di Schrödinger sull’entanglement fu pubblicato nel 1935, i fisici avrebbero potuto adottare un’interpretazione monistica della meccanica quantistica, o almeno accettarla come un concorrente principale per l’interpretazione strumentale di Bohr secondo cui la meccanica quantistica era solo uno strumento. Eppure sembra che Heisenberg e Bohr si siano tirati indietro dall’esplorare questo territorio inesplorato. Anzi, decisero di dichiararlo inesistente. Questa reazione risulta ancora più sconcertante perché i fisici non erano completamente ignari delle implicazioni monistiche della meccanica quantistica. Ad esempio, quando nel 1947 Bohr ricevette l’Ordine dell’Elefante, il più alto onore della Danimarca, progettò il suo stemma con il simbolo yin e yang, ovvero la rappresentazione pittorica della filosofia monistica taoista secondo la quale le forze apparentemente opposte nella natura sono in realtà parti complementari di un Tutto fondamentale su un livello più profondo di comprensione. Lo stesso Heisenberg intitolò la sua autobiografia Der Teil und das Ganze (1969), ovvero La parte e il tutto. Nel 1951, il fisico David Bohm affermò nel suo popolare libro di testo Teoria Quantistica che la meccanica quantistica richiede che abbandoniamo l’idea che il mondo possa essere correttamente analizzato in parti distinte, per sostituirla con l’assunzione che l’intero universo sia fondamentalmente un’unica unità indivisibile. Ne Il Tao della Fisica (1975) Fritjof Capra giunse a comparare la fisica quantistica con la spiritualità dell’Asia orientale. Perché le implicazioni monistiche della fisica quantistica non vennero prese sul serio?
Le ragioni per cui ciò non è avvenuto sono molte. Per cominciare, sottolinea Päs, nonostante le inclinazioni monistiche di visionari come Newton e Keplero, l’idea che “tutto sia Uno” di solito non è considerata come significativa nella scienza per una semplice ragione: questo “Uno” non è osservabile direttamente. La stessa mente occidentale era incline a limitare la scienza alla risoluzione dei problemi, riservando le risposte assolute e finali alla sola religione. Questo atteggiamento è stato interiorizzato fino ad oggi, anche da persone che non sono necessariamente religiose. Inoltre, sembrava davvero non importasse ciò che implicava la funzione d’onda quantistica. Le formule e le previsioni della fisica quantistica funzionavano perfettamente e potevano essere applicate con successo ai vari campi di ricerca emergenti, indipendentemente da ciò che si credeva riguardo alla realtà sottostante. Ancora, per molti anni, nessuno capiva davvero cosa succedesse durante una misurazione quantistica e come la meccanica quantistica fosse correlata alla nostra esperienza quotidiana in un mondo fatto di oggetti grandi ed esistenti in forme e luoghi definiti.
Questa situazione cambiò notevolmente solo intorno al 1970, quando in Germania il fisico Heinz-Dieter Zeh scoprì un processo noto come “decoerenza”. La decoerenza da un lato protegge la nostra esperienza quotidiana da troppa stranezza quantistica, dall’altro realizza l’ultima parte del principio di Eraclito: “da tutte le cose Uno”. La decoerenza avviene quando un oggetto quantistico interagisce con il suo ambiente: ad esempio, quando una particella come un elettrone, un osservatore umano o un dispositivo di misurazione e l’ambiente si intrecciano. Ora, se l’oggetto quantistico è una particella che esiste in due posizioni diverse, ognuna di esse è collegata a uno stato corrispondente del dispositivo di misurazione che registra la particella nella rispettiva posizione. Mentre queste realtà possibili sono sovrapposte nell’intero intreccio, dal punto di vista dell’osservatore che non conosce lo stato esatto dell’ambiente si svelano. È come se osservassimo il nostro giardino attraverso una finestra suddivisa: la natura sembra divisa in pezzi separati, ma questo è un artefatto della nostra prospettiva. Dal punto di vista dell’osservatore immerso nella propria realtà (quello che Tegmark chiama il “punto di vista della rana”), il dispositivo di misurazione potrebbe descrivere due realtà basate su probabilità matematiche nella funzione d’onda, e la particella potrebbe trovarsi nella posizione A con un dispositivo di misurazione che osserva questa posizione, oppure la particella potrebbe essere trovata nella posizione B con un altro dispositivo che registra questa posizione. La scoperta di Zeh ha avallato una visione controversa della meccanica quantistica, visione proposta dal fisico Hugh Everett, famosa per la fuorviante etichetta di “interpretazione dei molti mondi”. È come se la decoerenza aprisse una cerniera tra universi paralleli. Su un livello più fondamentale, però, l’interpretazione di Everett non descrive molti mondi classici ma piuttosto un singolo universo quantistico, governato da una funzione d’onda universale. Se un osservatore ipotetico potesse vedere l’intero Universo dall’esterno con tutte le sue possibilità rivelate, il cosmo si manifesterebbe come un singolo oggetto quantistico. Questo, metaforicamente parlando, sarebbe il “punto di vista dell’uccello” di cui parla Tegmark; viceversa, dalla prospettiva dell’osservatore, la prospettiva della rana, l’ambiente è sconosciuto e calcolato in media. Orbene, per quanto sorprendenti fossero le conclusioni di Everett e Zeh non furono apprezzate dai loro colleghi fisici. Per decenni, ogni indagine più approfondita sulle fondamenta della meccanica quantistica fu scoraggiata, e chiunque osasse mettere in discussione l’interpretazione ortodossa di Bohr si trovava di fronte a una miscela tossica di ostilità e pragmatismo dogmatico. L’atteggiamento fu appropriatamente riassunto nel 1989 dal fisico David Mermin come “Taci e calcola!”, un motto che esercitava una vera e propria pressione sugli studenti, invitati ad adottare la meccanica quantistica come strumento anziché perdere tempo con speculazioni metafisiche. John Clauser, Premio Nobel per la Fisica del 2022 per il suo lavoro sull’entanglement quantistico, ha confermato che “nella comunità dei fisici iniziò a svilupparsi uno stigma (…) molto potente nei confronti di chiunque fosse sacrilegamente critico nei confronti dei fondamenti della teoria quantistica” (95). Léon Rosenfeld, stretto collaboratore di Bohr, ha definito Everett come “incredibilmente stupido”, aggiungendo che “non poteva capire le cose più semplici della meccanica quantistica”. Intorno allo stesso periodo, Zeh, che ha scoperto la decoerenza, è stato informato dal suo supervisore, un vincitore del Premio Nobel, che “qualsiasi ulteriore attività su questo argomento avrebbe concluso [la sua] carriera accademica!”. In merito a questo atteggiamento inquisitorio, lo stesso Zeh ha sottolineato i paralleli tra la posizione conservatrice della Chiesa e l’antirealismo dogmatico di molti fisici oggi. Così, anche dopo che la decoerenza aveva spiegato come la nostra esperienza quotidiana potesse derivare da una realtà quantistica monistica, l’idea mantenne il grado di una opinione esterna nelle mani di un piccolo gruppo di fisici. Ancora oggi, per la maggior parte dei fisici, l’idea di un “Tutto” che abbraccia le parti non sembra essere una vera scienza: anzi ha un odore di sciocchezza New Age.
Ma perché questa idea ci suona così bizzarra? Per capire questo forte pregiudizio, dobbiamo lasciare per un momento la meccanica quantistica e guardare indietro a come il monismo si è evoluto in Europa negli ultimi 800 anni. Per Päs si scopre che la controversia su come interpretare la meccanica quantistica fa parte di una storia più ampia: il conflitto su chi aveva il diritto di definire la fondazione della realtà: la religione o la scienza? Secondo Everett e Zeh, la descrizione fondamentale dell’Universo è uno stato entangled singolo, descritto da una funzione d’onda universale. Tutto ciò che sperimentiamo nella nostra vita quotidiana emerge da questa realtà quantistica fondamentale. Se ciò è corretto, allora l’approccio tradizionale della fisica per comprendere le cose in termini di costituenti non funziona più. Se i fisici spiegano che oggetti quotidiani come sedie, tavoli e libri sono fatti di atomi, gli atomi sono composti da nuclei atomici e elettroni, i nuclei atomici contengono protoni e neutroni, e i protoni e i neutroni consistono di quark, senza dubbio ignorano che queste particelle non sono fondamentali ma solo astrazioni del Tutto fondamentale.
Invece, la descrizione più fondamentale dell’Universo deve partire dall’Universo stesso, inteso come un oggetto quantistico intrecciato. Non a caso il Premio Nobel per la Fisica del 2022 è stato assegnato per esperimenti che indagano le correlazioni tra particelle separate da grandi distanze ma collegate tra loro sulla base dell’entanglement. Inoltre, questa visione vuole ripensare la nostra concezione di spazio e tempo: lo spazio, spesso inteso come l’ordine relativo delle cose, non ha più senso; né è facile immaginare che questo singolo oggetto si evolva nel tempo. Di conseguenza, l’equazione di Wheeler-DeWitt, che descrive la funzione d’onda meccanica quantistica dell’Universo, e il lavoro di Stephen Hawking sulla cosmologia presentano un Universo senza tempo. L’entanglement gioca anche un ruolo cruciale nei più avanzati approcci alla computazione quantistica e alla ricerca di una teoria della gravità quantistica, in cui l’entanglement crea connessioni tra regioni distanti dello spazio-tempo. Non a caso, osserva Päs, solo poche settimane prima che i nuovi Premi Nobel venissero onorati a Stoccolma nel 2022, un diverso team di scienziati di spicco ha pubblicato un articolo su «Nature» che descriveva un processo sul computer quantistico di Google che poteva essere interpretato come una sorta di wormhole, un tunnel che collega regioni lontane nello spazio. Anche se il wormhole realizzato in questo recente esperimento esiste solo in un universo giocattolo bidimensionale, suggerisce una relazione intima tra l’entanglement quantistico e la prossimità nello spazio e potrebbe quindi costituire una svolta per la ricerca futura all’avanguardia della fisica.
In conclusione, Päs sostiene che il concetto di monismo, vecchio di 3.000 anni, potrebbe effettivamente aiutare i fisici moderni nella loro lotta per trovare una teoria della gravità quantistica e dare un senso ai buchi neri, al bosone di Higgs e all’Universo primordiale. Le probabilità sono alte che assistiamo all’inizio di una nuova era in cui la scienza è informata dal monismo e l’Universo è percepito come un Tutto unificato. “È giunto il momento di far tornare “l’Uno” nella scienza” (276).
Foto Niels Bohr | Pixel 17.com | CC BY-SA 2.0