L’intervento del presidente del consiglio, onorevole Meloni, il giorno del voto di fiducia alla Camera, presenta aspetti complessi e discutibili che in molti casi si potranno valutare solamente nei prossimi mesi, quando il governo sarà in carica. Ad esempio, il presidente del consiglio ha annunciato una riforma fiscale che introdurrebbe dei casi di tassa piatta su cui ci si potrà esprimere appena il governo presenterà qualche conto sui bilanci dello Stato. Lo stesso, quando il governo ci dirà come intende correggere il reddito di cittadinanza appena dichiarato fallimentare. Possiamo invece apprezzare, quello che il presidente del Consiglio non ha detto, come la parola “pace”. Non è compito dell’Italia farsi portatrice di un’aspirazione di pace, l’Italia è già un paese pacifico, non invade nessun vicino e rispetta l’integrità territoriale di qualsiasi altro Stato dai tempi della prima metà del secolo scorso. Tanto che il presidente del consiglio precedente volò a Mosca per chiedere al capo del Cremlino di rinunciare alla sua cosiddetta “operazione speciale”. Da quel momento la parola “pace”, la possono giusto più avanzare i russi, ritirandosi dai territori occupati, o gli ucraini accettando quell’occupazione. L’Italia invece deve solo dire quale parte sostiene nel conflitto fino a quando si arriverà ad una pace fra i due contendenti. Il nuovo governo italiano ha dichiarato di voler continuare la linea del governo precedente. Speriamo che possa farlo con meno voci contrarie al suo interno di quante se ne videro allora e grazie a dio di qualcuna di quelle si è già sbarazzato.
Non possiamo ancora sapere quanto le affermazioni atlantiste ed europeiste pronunciate siano credibili, certo sono state piacevoli da ascoltare. Chi voleva mettere l’agenda Draghi fra gli scaffali di una cartoleria, almeno per quello che riguarda il disegno internazionale, se l’è ritrovata aperta davanti. Anche qui si tratta di capire se senza Draghi, avremo la medesima, o almeno la sufficiente, determinazione ed efficacia. Il nodo politico dell’intervento dell’onorevole Meloni si apre con questa forma di continuità con un aspetto del governo Draghi. Nonostante fosse all’opposizione Fratelli d’Italia ha avuto la particolarità di votare a favore dei decreti di quel governo con più convinzione di chi pure era nella maggioranza. Ora che Fratelli d’Italia è a Palazzo Chigi, non vorremmo possa cambiare idea su quanto fatto e ancora ripromesso. È vero che l’onorevole Meloni ha assicurato di essere disposta a non venir rieletta, ma se ne è viste e sentite tante.
Si può essere invece già convinti che il nuovo governo non intenda ripercorrere la strada di come venne gestita la pandemia del 2020. Non c’è infatti solo l’opposizione intransigente a testimoniare quella sua avversione all’insieme della politica di contenimento messa in atto, ma anche una considerazione morale. L’onorevole Meloni ritiene inaccettabile, davanti alla sofferenza delle persone, arricchirsi con la compravendita delle mascherine. Il suo governo farebbe bene allora a promuovere una commissione di inchiesta su tutto quel periodo anche perché le iniziative della magistratura languono.
L’onorevole Letta si è espresso in aula con fermezza contro i propositi di revisione costituzionale del presidente del consiglio. È un suo lecito diritto, anche se il semipresidenzialismo francese fu proposta del partito dell’onorevole Letta. Altrettanto, la deprecata legge elettorale che ha consentito un successo tanto eclatante all’onorevole Meloni, è stata scritta dal partito dell’onorevole Letta. Senza contare che la vocazione maggioritaria del partito democratico ha dato un bel contributo a riguardo, quando il partito storico dell’onorevole Meloni difendeva la legge proporzionale. Altri tempi, certo. Per questo vorremmo ricordare sommessamente all’onorevole Letta che “il coprifuoco”, come “lo stato di emergenza” non si trovano nella Costituzione repubblicana, magari nell’occupazione nazifascista. Apprezziamo l’onorevole Meloni che giudica le leggi dell’Italia del ‘36 il momento più basso e vergognoso della parabola nazionale. Non vorremmo più rischiare di viverne altri.
La destra italiana nostalgica di Salò, non si capisce esattamente perché, non c’era nessuna sovranità nazionale a Salò e nemmeno la sovranità alimentare, riscoperse il significato della libertà davanti all’occupazione sovietica in Ungheria. Da allora ha proceduto a singhiozzo ma si può contare che diventi liberale ogni volta che la sinistra cessa di esserlo anche solo un momento. Se poi la sinistra supera ogni limite, c’era un ministro che ricusava tre tavolini all’aperto di un bar di Reggio Calabria, arrivano anche i consensi.
foto del sito della presidenza del Consiglio dei Ministri