Dopo una Storia naturale del pensiero (2014) e una Storia naturale della morale umana (2016), ecco dalla psicologo evoluzionista americano Michael Tomasello una Storia naturale dell’azione, come recita il sottotitolo del suo ultimo volume (Dalle lucertole all’uomo, tr. it. di S. Ferraresi, Cortina, Milano 2023, pp. 224). Fin dalle prime battute dell’ “Introduzione”, viene dichiarato apertamente l’intento che persegue qui l’Autore: comprendere il comportamento animale come “una questione [non] di complessità, ma di controllo”. In termini cioè di “agentività”, intesa come quella capacità di agire, in vista del raggiungimento di determinati scopi e obiettivi, sulla spinta di decisioni attive, informate e appunto controllate dall’individuo. L’ “agentività” individuale, fattore pressoché ignorato negli approcci evolutivi al comportamento animale, “non implica – come sostiene Tomasello – una libertà totale dalla biologia”, nel senso che, se essa è “immancabilmente esercitata nel contesto delle capacità evolute di un organismo”, spetta sempre e comunque a quest’ultimo prendere la decisione più indicata in rapporto alla valutazione delle situazioni, volta per volta, date. La biologia della specie non può così mai prescindere da quell’indice di imprevedibilità che è il tratto caratteristico della psicologia individuale.
Ora, la domanda che, a questo punto, si pone, è la seguente: come e perché l’ “agentività” si è evoluta? E perché tutto ciò è avvenuto in alcune specie piuttosto che in altre? Non si tratta dunque della semplice esecuzione di una determinata azione da parte di un determinato organismo, ma del come tale azione viene da esso eseguita. Il punto è, infatti, che le interazioni degli organismi con l’ambiente – ce lo insegna la scienza cognitiva attuale – non sono strutturate nel segno del nesso lineare e passivo stimolo-risposta, ma secondo un meccanismo di controllo a feedback attivo che si sviluppa in modo circolare. E poiché questa organizzazione causale circolare è tipica anche delle macchine “intelligenti”, esaminare come esse operano può fornirci un utile punto di avvio per una ricognizione in termini evolutivi dell’ “agentività”»” umana. Il modello di quest’ultima cui si rifà Tomasello include così al suo interno una gerarchia di sistemi, ognuno dei quali presenta tre elementi fondamentali: prima di tutto, c’è un valore o un obiettivo di riferimento, poi si dà un apparato sensoriale e percettivo e, infine, c’è un dispositivo che presiede a commisurare, fra loro, la percezione e l’obiettivo, allo scopo di prendere una decisione comportamentale e di metterla in atto. Fra le altre cose, questa concezione gerarchica relativa all’evoluzione del comportamento suggerisce che l’azione agentiva non è solo un oggetto della selezione naturale, ma è anche e soprattutto un fattore causale del cambiamento evolutivo.
Ora, per spiegare la specificità dell’ “agentività” umana, Tomasello si dà il compito di ricostruire quell’arco evolutivo che, dagli organismi che prendono poche e limitate decisioni, arriva fino a quelli che decidono, invece, in piena autonomia e indipendenza. Stando al dibattito in cui il comportamento animale viene indagato a partire dall’alternativa fra natura e cultura, Tomasello lo ritiene scarsamente produttivo, perché il problema non è di stabilire che cosa è innato e che cosa è appreso, ma, collocandosi dal punto di vista dell’”agentività” psicologica di un organismo, in che misura tanto l’uno quanto l’altro sono soggetti a controllo da parte di un individuo. Negli ultimi tempi, le ricerche relative alla cognizione animale hanno stabilito che, quanto al prendere decisioni, alcuni primati non umani attivano processi analoghi a quelli dell’uomo. Ciò che ancora manca però è di vedere come questi processi, traducendosi in “certi tipi di architetture psicologiche”, si siano “evoluti in certi tipi di condizioni ecologiche, permettendo così agli individui di prendere decisioni individuali”. Fin dai tempi di Darwin, numerosi sono stati gli approcci evolutivi alla psicologia umana, tutti mossi dalla preoccupazione di evitare il determinismo genetico, in modo tale che non fossimo così sollevati dalla responsabilità delle nostre azioni. Determinismo genetico cui ha messo capo la tesi sostenuta, ne Il gene egoista (1976), dal biologo evoluzionista Richard Dawkins, relativa al fatto che l’unità fondamentale della selezione non sarebbe data né dalla specie né dal gruppo e neanche, in senso stretto, dall’individuo, ma appunto dal gene, rispetto al quale gli organismi non sarebbero dunque altro che “veicoli”. La ricerca odierna si muove invece nella direzione di una “ecologia comportamentale umana”, partendo dall’assunto secondo il quale l’evoluzione provvede a creare non tanto meccanismi utili in senso generale, quanto “specifiche soluzioni funzionali a sfide
ecologiche altrettanto specifiche”, soluzioni che sono relative a problemi adattativi, legati soprattutto alla sopravvivenza e alla riproduzione, in rapporto alle quali la forma precedente appare meno funzionale rispetto a quella più recente. Tuttavia, questo tipo di ricerca non è stata estesa sistematicamente a ritroso ai nostri antichi
antenati, in modo da vedere come il comportamento e la psicologia umani si siano evoluti “per gradi” da quelli di altre specie. Si tratterebbe cioè di studiare, innanzi tutto, quei processi elementari condivisi da tutti gli organismi agentivi, poi, di passare a esaminare quegli strati che gli esseri umani condividono solo con i mammiferi e con i primati, per arrivare, infine, a occuparsi di quegli strati più esterni caratteristici esclusivamente della psicologia umana.
Nella sua ricostruzione del percorso evolutivo che ha condotto fino all’ “agentività” psicologica umana, Tomasello individua quattro architetture organizzative riguardanti il prendere decisioni comportamentali individuali, nonché il modo in cui noi autoregoliamo questo processo mentre si svolge nel tempo. In ordine rigorosamente evolutivo, esse sono: l’ “agentività” diretta a uno scopo negli antichi vertebrati; l’”agentività” intenzionale negli antichi mammiferi; l’ “agentività” razionale nelle antiche grandi scimmie; e l’ “agentività” socialmente normativa nei primi umani. Scrive, a conclusione dell’«Introduzione»: «Poiché l’agentività non è semplicemente un’altra abilità cognitiva o comportamentale specializzata, ma è piuttosto il quadro organizzativo più generale entro cui gli individui formulano e producono le proprie azioni, risalire alle radici psicologiche dell’agentività umana altro non implica, grosso modo, se non una spiegazione evolutiva dell’organizzazione psicologica umana in generale. Tale resoconto richiederà, insieme, di ampliare e di approfondire le teorie attuali della psicologia evoluzionistica».
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