Siamo grati al ministro Sangiuliano di non averci invitati al convegno od incontro, come preferisce, tenuto per l’anniversario della nascita di Giuseppe Mazzini, 22 giugno 1805. Avremmo patito un certo imbarazzo, come forse ha provato il carissimo amico Stefano Folli, direttore illustre di questa testata, costretto ad ascoltare un ricordo di un giovanissimo Spadolini nella Repubblica sociale. Piuttosto sgradevole anche il paragone di Craxi fra Mazzini ed Arafat, tanto per citare gli esempi fatti di attualità. Ci sono stati riferimenti alla Carta del Carnaro e ovviamente alla figura di Giovanni Gentile. Il ministro Sangiuliano ha celebrato l’inaugurazione degli studi mazziniani del 1934. Si dovrebbe pur notare come i “mazziniani” Balbo e Grandi, sono entrati in urto con il fascismo, così come il post fascismo di Giorgio Almirante abbia faticato ad omologare il corporativismo con l’idea sociale di Mazzini. In ogni caso, l’interpretazione o la strumentalizzazione mazziniana hanno poco a che fare con Mazzini ed il suo pensiero. Sono aspetti più propri della storiografia politica ideologica del paese, che altro.
L’aspetto davvero interessante del convegno è stato quello della finalità che il ministro Sangiuliano ha esposto nelle sue conclusioni, ovvero la creazione di una cornice nazionale di grande spessore che comprenderebbe Mazzini, ma anche Gobetti e persino Gramsci, un progetto del ministero appena iniziato. L’unica osservazione a riguardo che si può fare senza voler entrare nel merito dei vari interventi ascoltati e del proposito del signor ministro, è che Mazzini non è un pensatore conciliativo, non è Renan, per capirci, che metteva d’accordo l’Assolutismo con la Repubblica. Non solo Mazzini non si coniuga con Gramsci per l’ovvia ostilità di Mazzini al marxismo e di Gramsci a Mazzini, probabilmente non si potrebbe collocare nemmeno accanto a Gobetti e mai accanto a Croce, che giudicava Mazzini “meno moderno” di Marx e votava la fiducia a Mussolini dopo l’omicidio di Matteotti. Per carità, un ministro della cultura può concentrarsi su pensatori tanto diversi fra loro e quindi svolgere un’esercitazione accademica di una qualche rinomanza. Poi se vuole anche avere una tendenza politica, un ministro della Cultura, non è un ministro dei Beni Culturali, deve fare una scelta, soprattutto se si tratta di caratterizzare l’identità nazionale. O si sostiene la “democrazia pura” mazziniana, curioso che nessuno l’abbia citata, o “l’egemonia” gramsciana, o la libertà spirituale di Croce, o la critica di Gobetti. Tutte insieme non è possibile. E questo senza considerare un aspetto appena toccato negli interventi registrati, ovvero che la spiritualità religiosa di Mazzini è in urto con la Chiesa cattolica, il papa è fuggito quando Mazzini arriva a Roma e questa non è una divagazione di qualche professore, è un fatto storico comprovato. Si veda se nella Costituzione romana si può inserire un articolato relativo ai patti lateranensi. L’idea della nazione repubblicana di Mazzini è cosa affatto diversa dall’idea di nazione fascista che tiene insieme il trono e l’altare.
D’altra parte il dubbio espresso dal ministro Sangiuliano, la cosa più pregevole del convegno, è relativo proprio all’idea nazionale, ovvero se questa si fonda sui principi della Rivoluzione francese, contro l’Ancien régime, o sul principio di insurrezione spirituale di Fichte, che per l’appunto alla Rivoluzione si contrappone e radicalmente. Tutti sembrerebbero compiacersi di avere un qualche antenato mazziniano in famiglia. Mazzini proveniva da un’intera famiglia esclusivamente giacobina bonapartista.