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Perché preoccupa più l’Italia che la Germania

Riccardo Bruno di Riccardo Bruno
26 Maggio 2023
in L'editoriale
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Chi si ricorda il sorpasso del prodotto interno lordo Italiano su quello inglese all’epoca del governo Craxi, sa bene che una crescita economica per essere tale ha bisogno di indicatori piuttosto costanti. L’Italia poteva anche per ragioni congiunturali superare la produzione inglese, il che non significava aver raggiunto il livello di sviluppo dell’Inghilterra, e soprattutto che ad una tale crescita, anche se fosse dipesa interamente dal governo, non potesse accompagnarsi. nel medio periodo, un arretramento. Il dato economico fotografa la situazione economica non necessariamente lo sviluppo di un popolo che potrebbe declinare appena raggiunto un vertice positivo e viceversa. Nel caso italiano, il problema non è l’aumento del Pil di un punto o mezzo punto, cosa che può anche far piacere, ma il costante aumento del debito che ebbe un’impennata ulteriore con il governo Craxi e trovò un timido palliativo solo nel primo governo Prodi, più di dieci anni dopo per poi precipitare nuovamente e quello che è grave, è che questo debito ancora precipita.

Non per caso la Commissione europea invece di lodarci per avere un Pil del secondo trimestre superiore a quello della Germania, ci ha detto di stare molto attenti all’incremento del debito che affonda ogni possibile successo, soprattutto quando ancora non è chiaro se saremo in grado di recepire integralmente le rate del Pnrr e stiamo mantenendo un atteggiamento verso il Mes che l’amico Davide Giacalone solo ieri sul suo giornale la Ragione definiva una autentica fesseria. Quanto a coloro che si ringalluzziscono perché la Germania è stata superata dall’Italia, fanno sorridere amaramente, come chi si vantava per i successi di Craxi. La crescita economica tedesca può avere un rallentamento congiunturale, come è avvenuto in Cina l’anno scorso e poi ripartire impetuosa. Dispone di fondamenti sani. L’Italia non sa nemmeno gestire positivamente un momento di serenità, affoga nel fango in Emilia Romagna. Senza contare che è tale il legame tra la manifattura tedesca e quella italiana che è molto difficile che la crisi dell’una non incida poi sull’altra. Aspettate a trarre giudizi avventati, lasciate almeno passare l’intero anno solare.

In generale la Germania si mostra un paese più credibile dell’Italia fin dal dibattito interno sulla crisi ucraina. I tedeschi sono legati all’economia russa dal tempo di Rathenau e lo rimasero ancora nel giorno dell’invasione nazista in Urss, per riprendere poi i rapporti già con Helmut Schmidt, i primi n tutta Europa. Non c’è dubbio alcuno che se le aziende italiane possono aver subito un contraccolpo dalla caduta delle relazioni con la Russia, la Germania è necessariamente precipitata, tanto che un calo come quello registrato in questi mesi non impedisce di dire al cancelliere tedesco Scholz che l’economia tedesca va comunque bene. Il presidente del Consiglio italiano fa invece meglio a mordersi la lingua davanti al dato positivo sul pil. Nonostante i profondi legami economici e commerciali con i russi, anche i nostalgici della guerra fredda si guardano bene dal criticare le misure del governo tedesco per l’Ucraina con gli argomenti che si vedono in alcuni ambienti e partiti italiani. I tedeschi si ricordano i crimini nazisti commessi in quel paese e ne rivedono la stessa natura nell’aggressione russa. Il tedesco più russofilo di tutti, un’autorità culturale vera come Jürgen Habermas, si limita a raccomandare al governo prudenza e altre banalità come non mettete i russi in una via senza uscita, temiate l’opzione atomica. Nemmeno Habermas osa criticare l’invio delle armi e mai gli è passato per la testa di promuovere iniziative pacifiste, o di accusare la Nato. E in generale in Germania si criticano le posizioni di Habermas, non le scelte del governo.

Se proprio vogliamo misurare le capacità dei popoli di spiegare le loro ragioni e capacità al mondo, è vano seguire i dati economici, perché questi spesso si mostrano controvertibili o parziali. Meglio legarsi al destino degli artisti e degli intellettuali di cui si dispone. Costoro anche nei loro maggiori difetti sono in grado di rappresentare comunque almeno un’idea dello stato raggiunto dalla comunità nazionale. Il popolo francese si riconobbe in Voltaire. Quello tedesco in Goethe. Quello inglese in Dickens. Evitiamo che l’Italia possa finire con l’essere rappresentata dagli Orsini e dai Santoro.

Tags: OrsiniSantoro
Riccardo Bruno

Riccardo Bruno

Riccardo Bruno si è laureato in Storia della Filosofia presso l'Università di Roma La Sapienza nel 1988. Dal 1987 al 1989 collabora all'Ufficio esteri del PRI diretto dall'onorevole Vittorio Olcese. Dal 1994 è capo ufficio stampa del PRI, dal 1995 giornalista professionista iscritto alla stampa parlamentare. Nel 1999 è capo redattore de La Voce Repubblicana. È stato poi editorialista per il Foglio di Giuliano Ferrara e l'Indipendente di Vittorio Feltri. Dal 2019 è prima vice direttore de La Voce Repubblicana e poi direttore politico

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