Che il capo della milizia privata Wagner, il rapinatore Prigozin, fosse in grado di causare più danni alla guerra russa della controffensiva ucraina, era plausibile già dalla battaglia di Bakhmut. Basta vedere i suoi video notturni in cui asseriva di aver conquistato la cittadina, quelli diurni in cui accusava l’esercito regolare di essersi ritirato vergognosamente, infine quelli serotini, dove nuovamente vantava di aver conquistato un’altra volta la distesa di macerie. In tanta devastazione, Prigozin era uno spasso. Poi seguiva tutto un corredo di notizie, dalle sparatorie con i suoi connazionali agli accordi con le milizie ucraine per scambiare i prigionieri, fino agli insulti ai vertici militari del Cremlino. Tutto questo era funzionale a far si che il comandante della Wagner potesse ergersi come l’unico davvero fedele alla causa. Se la Russia voleva avere una chance, doveva affidarsi a lui e ai suoi tagliagole. Uno spartito abbastanza sperimentato anche se tratto dallo scompiglio mozartiano, piuttosto che dalla sognante solennità dell’Anello dei Nibelunghi.
Tutto inizia a cambiare nel momento nel quale Prigozin con la sua truppa occupa Rostov. Sia chiaro, l’occupazione di Rostov, per quanto si tratti di città russa, vale quella di Bachmut città oramai inesistente, Anche questo è solo un atto, per quanto eclatante, parte di uno scenario da guerra civile, Prigozin assomiglierebbe allo Strel’nikov di Pasternak, vai a sapere che fine fa con il suo treno blindato. Magari vince, magari viene fucilato. Ma è da Rostov che Prigozin si pronuncia sulle ragioni della guerra e qui muta completamente lo scenario. Prigozin sostiene praticamente quello che scrive la Voce repubblicana, ovvero che la Nato non minaccia nessuno, meno che mai la Russia e che l’Ucraina aveva interrotto ogni rappresaglia nei confronti delle aree secessioniste del Donbass, Prigozin dice da otto anni e gli crediamo. Questa narrazione, dice bene il ministro Crosetto, interrompe completamente le penose menzogne sull’invasione accampate finora dai russi e dal Cremlino in prima persona. Questa di Prigozin è una dichiarazione di resa all’Occidente, a cui si riconoscono tutte le ragioni.
Ovviamente Prigozin come non è un cuoco, tanto meno è la voce della verità. E’ un vecchio lestofante che ha fatto la galera e che si è dimostrato pronto a tutto, come sicuramente lo è ancora. Certi personaggi perdono il pelo, non il vizio. Tanto è vero che egli sostiene pure che Putin sarebbe stato ingannato dai suoi consiglieri, il che è una completa sciocchezza. Nessuno in Russia ha più informazioni di Putin sullo stato del paese. Si tratta di capire se Prigozin voglia la guerra civile, piuttosto che offrire una via di salvezza al suo principale. Ricompensa Putin a cui deve la carriera, lasciandogli una via di scampo, non hai sbagliato tu a fare la guerra, hanno sbagliato i tuoi sottopancia. Perché a questo punto o Putin sostiene Prigozin e quindi porge le scuse all’Ucraina e torna con il capo cosparso di cenere a collaborare con la comunità occidentale, oppure deve eliminare Prigozin che sarebbe un po’ come per re Artù eliminare Lancillotto, con tutto quello che ne conseguirebbe per il suo regno.
cco