Dalla mesta vicenda che riguarda l’onorevole Sohumaoro, si cava, come sia più che plausibile per il Paese, il bisogno di un ritorno alle grandi idealità della politica. Anche solo per non ridurre tutto alla mera attività amministrativa, magari pure in maniera discutibile, o, peggio ancora, alla difesa del proprio interesse. Eppure non si può prescindere dal fatto che l’amministrazione della cosa pubblica come il proprio interesse personale condizionino comunque l’idealità politica. La politica l’aveva pur sempre descritta con efficacia Bismark quando ricordava i materiali a cui era assimilabile, dal fango da cui l’idealità si trae. Poi ci sono le idealità sbagliate che hanno contraddistinto tutto il 900, fino alla caduta dell’Unione sovietica. Questo crollo verticale dell’ideologia marxista è pur sempre alla base dell’impoverimento della cultura politica, tale per la quale si sono disperse determinate idealità, che però sarebbe meglio non recuperare. Il caso italiano è in Europa il più emblematico. Sia Moro che Berlinguer avevano sicuramente una carica ideale, ma ciononostante tra Moro e Berlinguer non ci può essere nessun paragone possibile se non quello di chi si sente abbandonato dal proprio partito, rispetto a chi vorrebbe invece abbandonare il suo. Moro interpreta una visione democratica cristiana che rappresenta una delle principali correnti del pensiero occidentale, Berlinguer non sa più nemmeno lui cosa rappresenti se non un tormento dell’idealità in se stessa.
Berlinguer non può ritenersi un comunista nel senso classico del termine marxista e meno che mai marxista leninista, perché sceglie la via democratica dell’azione politica e pure non può ritenersi un socialista, perché contrario ad ogni presupposto riformatore della società. Persino sui diritti venne praticamente trascinato alla loro difesa, ad esempio nel caso del divorzio. L’identità di Berlinguer è uno spostarsi dal suo campo ideale, ed egli se ne accorge, senza riuscire ad individuare una qualche meta plausibile, tanto che un erede di Berlinguer, nel partito di Berlinguer gli volse le spalle al punto di dire, ed era il 1997 che Berlinguer aveva sbagliato, mentre Craxi aveva ragione. Il socialismo democratico a cui Berlinguer guardava con orrore, era dunque l’ideale politico a cui ci si sarebbe potuto rivolgere, in Italia, Saragat sicuramente meglio di Craxi.
Il problema ideale del progressismo italiano in una sola parola sarebbe quello di riscoprire Saragat. E chi glielo fa fare? Ancora più difficile per i moderati, o i conservatori o come li volete chiamare riscoprire Aldo Moro. C’è più distanza fra Moro e il ventennio berlusconiano che fra Stalin ed il buon Enrico Letta. E poi oggi c’è un riferimento moderato nel partito dell’onorevole Meloni. Abbiamo letto sul quotidiano iI Riformista, Frabrizio Cicchitto, persona competente, che ci spiega come il riferimento culturale dell’onorevole Meloni si trovi in Inghilterra, in Edmund Burke. Ora, si Burke era un controrivoluzionario, ma del partito Whig, i progressisti, non i conservatori.
I repubblicani non si rendono conto di quanto sono fortunati a possedere alle loro spalle una tradizione ideale limpida, splendente ed incontaminata che ha come riferimento nazionale una personalità come quella di Giuseppe Mazzini. Per cui se si tratta di recuperare le idealità perdute sarebbe anche ora di riaccendergli, a Mazzini, tutti i lumini.