L’intervento di Riccardo Bruno nell’aula magna di Palazzo Leopardi, Recanati, al convegno dedicato a Giorgio Braccialarhe del 18 aprile. L’intero convegno è riprodotto su Radio Radicale.
Sono stato molto felice di sapere che Recanati avrebbe dedicato un convegno alla figura di Giorgio Braccialarghe e di avere l’onore di venire invitato a parteciparvi. Ho conosciuto indirettamente Braccialarghe solo nel 1987 quando me ne parlò in una conversazione Randolfo Pacciardi alla direzione nazionale del partito repubblicano di Piazza Caprettari. Molti degli amici federalisti che sono intervenuti hanno ricordato Altiero Spinelli, permettetemi di ricordare brevemente Pacciardi. Pacciardi era tornato nel partito dopo la rottura del 1963 nel 1981. Io lo vedevo principalmente come un monumento a se stesso, in quanto nessuno poteva ergersi alla sua altezza. C’erano dirigenti repubblicani che ancora venivano dall’antifascismo, e dalla resistenza, lui veniva dalla guerra di Spagna. C’è una differenza sostanziale fra la Resistenza e la Guerra di Spagna, nel senso che la Resistenza fu una scelta in parte dettata dalle circostanze. Chiunque avesse un senso morale e un desiderio di riscatto politico, sentì la necessità di parteciparvi, per molti fu anche una ricollocazione, Giorgio Bocca aveva scritto sulla Difesa della razza. Il povero Giaime Pintor che saltò subito su una mina, era stato a tutti gli effetti un giovane intellettuale del regime, Mio nonno, Giulio Faenza che fece una banda partigiana di un certo successo in Piemonte, lo fece principalmente per difendere la famiglia ebrea dai tedeschi, ma conoscendolo avrebbe preferito andarsene a caccia.
La guerra di Spagna era un atto volontario a sostegno di una causa che non ci riguardava necessariamente. Sarebbe come se adesso si partisse per combattere in Ucraina, invece di stare a dire non mandiamo i soldati per carità. Pacciardi era un antifascista dal 21, uno che era tornato dalla prima guerra ed aveva sfidato a duello Italo Balbo. Braccialarghe viveva in Argentina, poteva restare tranquillo in quel paese. Raggiunse le Brigate Internazionali e combattette per la difesa di Madrid. Fu artefice della prima sconfitta del fascismo a Guadalajara. Mussolini iniziò a soffrire di stomaco alla notizia quello stesso giorno. Pacciardi raccontava allora che era stato Braccialarghe ad avvisarlo delle intenzioni dei comunisti di fucilare gli anarchici. Alcuni relatori hanno sottolineato l’anticomunismo viscerale di Braccialarghe che a stento sopportava Pietro Secchia al confino di Ventotene che dormiva accanto alla sua branda e che pure era in Spagna. La mia idea è che i mazziniani in Spagna si convinsero che fossero stati i comunisti a far perdere loro la guerra con la scelta di spaccare il fronte repubblicano. Gli anarchici del Poum in Spagna non erano i quattro gatti come potevano essere in Italia. Erano un’organizzazione politica potente radicata soprattutto in Catalogna che svolgeva una funzione militare formidabile di entusiasmo e dedizione. Pacciardi che aveva senso strategico s rese conto che privarsene sarebbe stata una follia, non solo politica, si metteva praticamente tutta la Repubblica sotto l’egida sovietica sacrificando l’anima libertaria, ma si creava anche un vuoto nelle truppe di linea più motivate ed esperte. Le Brigate internazionali furono congedate, l’esercito puramente professionale non era in grado di competere con quello falangista. Il fatto che come ha ricordato il nostro amico federalista Mauro Leoni nel suo intervento la polizia fascista ciononostante abbia divulgato i documenti che schedavano Braccialarghe come “comunista”, dipendeva dall’immagine con cui il regime voleva presentare i combattenti della repubblica spagnola. Quale posizione avessero dovevano essere tutti rossi. Il fascismo italiano liberava la Spagna dalla minaccia comunista, l’organizzazione delle Nazioni, applaudiva.
Che Braccialagrhe non avesse nulla a che fare con il comunismo si comprende del resto dalla scelta di partecipare poi alla resistenza nella brigata mazziniana, che non aveva i vantaggi anche solo numerici oltre che organizzativi, delle formazioni rosse. La struttura clandestina delle brigate mazziniane era molto più precaria ed esposta. Sicuramente, Braccialarghe rimase accanto a Pacciardi nel Pri fino al centrosinistra ed altrettanto, che non tornò con lui nei partito nel 1981. Qui tutti i federalisti lo hanno conosciuto io che vedevo Pacciardi ad ogni consiglio nazionale, non l’ho mai incontrato e non mi risultano frequentazioni sue con dirigenti del partito di quegli anni. Credo che lo abbiamo persino dimenticato il giorno della sua morte nel 1993. Il nipote di Braccialarghe Severino ha raccontato del suo distacco successivo dalla vita politica, la delusione per la Repubblica dei partiti. Credo che questo fosse l’effetto della scelta del centrosinistra che i pacciardiani osteggiarono radicalmente. Ovviamente io difendo la scelta del partito di Ugo La Malfa, vi era la necessità di rinforzare la giovane democrazia italiana, e poter staccare i socialisti dai comunisti era fondamentale, Nenni era stato un premio Stalin, quando Craxi avrebbe avuto molti difetti, non quello di mantenere l’ideologia marxista. Craxi si oppose con forza all’Urss, non fu un Berlinguer insomma. Un frontismo come quello del ’48 non si fosse disfatto rapidamente, avrebbe potuto tradursi in una vittoria social comunista. Da anni si parla molto di imperialismo americano, di un’Italia che non può scegliere, ma se i socialisti ed i comunisti avessero mai vinto insieme le elezioni durante la guerra fredda, l’Italia degli anni ’60 avrebbe cambiato le sue alleanze internazionali. Oltretutto il centrosinistra non fu solo il rafforzamento atlantico dell’Italia, ma anche la programmazione economica, un progetto di ripresa del paese, un formidabile ruolo di governo. Non credo, in altre parole, che il partito repubblicano avrebbe potuto seguire Pacciardi, infatti non lo seguì. Ma vi assicuro che rimasi sempre impressionato dal suo discorso alla Camera sulla fiducia al primo governo Moro, quel suo incedere “fra il diavolo e l’acqua santa” avrebbe avuto un esito disastroso. Sarà lo stesso La Malfa a denunciare il fallimento di quella esperienza e a morire in un bicolore Dc, Pri, guidato da Andreotti. La crisi del partito repubblicano è iniziata allora e il successo di Spadolini si sarebbe poi rivelato effimero. Avevamo maturato un’ esperienza di efficienza, di progettualità, di tecnicismo che si scontrava con una classe politica opportunista intenta ad una corsa al posto. La formula di Pacciardi si rivelò una sorta di maledizione calata sulla Repubblica. Personalità come Braccialrghe se ne erano andate. C’erano quelli che volevano presiedere le municipalizzate.
Chi era insomma Giorgio Braccialarghe di cui stiamo discutendo da tre ore? Un uomo che trovava il senso della sua esistenza nella lotta per una idea e che non si preoccupava di mettere a rischio tutto se stesso per vederla affermata, anche senza una sola possibilità di riuscita. Questo è quello che io chiamo un carattere mazziniano. Non solo serve a chi milita nel partito repubblicano, ma serve a tutto il paese. Anche perché con caratteri come questo qualche risultato vedrete che si finisce con l’ottenerlo.
Foto Pixabay | CC0