Quello che pur appare come è stato definito dalle fonti delle agenzie “un incredibile schiaffo all’Italia” è in realtà un prevedibile schiaffo alla politica mediterranea Meloni-Tajani. Con il mancato gradimento da parte del governo libico di Abdul Hamid Dbeibah all’ambasciatore Nicola Orlando, designato nei mesi scorsi da Josep Borrell a capo della delegazione Ue a Tripoli, è stato dato un giudizio in un colpo solo sull’accordo con la Tunisia e sul cosiddetto piano Mattei. Per colmare poi la misura, al posto di Orlando, che la Farnesina nel suo pressapochismo aveva già inviato a Tripoli, arriverà un diplomatico francese.
Se qualcuno fosse mai incline a pensare che siamo davanti all’ennesimo paradosso del complicato puzzle libico, dove Roma, sempre vicina a Tripoli, viene surclassata da Parigi che flirtava con Khalifa Haftar, significa che proprio non comprende la situazione. E’ stata la capacità di Parigi di tenere buoni rapporti con l’altra metà della Libia ad aver influito sulla scelta del governo tripolino. Dbeibah sa benissimo che se non vuole essere presto spazzato via deve portare a casa un accordo fra le parti e rilanciare una prospettiva unitaria del paese. Mentre i collaboratori di Tajani sono intenti a ricordare i viaggi del presidente libico a Roma e si dicono sconcertati per la piega degli eventi, di fatti la bocciatura di Orlando è stata anche messa per iscritto, contrariamente alla prassi diplomatica e il governo, nella sua inesperienza di affari internazionali, nemmeno l’ha contestata, la Francia prende la testa della missione. Fa giusto pena l’ipotesi, che pure si è letta sulla stampa, per la quale Dbeibah “avrebbe avuto paura” di una persona come Orlando che forte del nuovo incarico avrebbe potuto spingere verso le elezioni e mettere fine alla situazione di instabilità. Mai Orlando avesse avuto una tale capacità i tripolini lo avrebbero fatto dittatore, non ambasciatore. La verità è che Tripoli ritiene la Francia indispensabile per affrontare le sue difficoltà, soprattutto dopo aver visto i passi compiuti dall’Italia su Tunisi. Perché la Francia non si è aggregata all’allegra comitiva guidata dall’onorevole Meloni e dal presidente von der Layen che porgeva i suoi salamelecchi a Saied? Perché i francesi che capiscono la politica estera si sono accorti che un simile comportamento avrebbe irritato la Libia, e geopoliticamente, oltre che economicamente, la Tunisia non conta un baffo rispetto alla Libia.
Il duo Meloni Tajani si è comportato sullo scacchiere del Mediterraneo come dilettanti animati da buone intenzioni. Questo è solo il primo dei frutti che sono destinati a raccogliere, insieme alla torma di migranti che si è abbattuta sulle nostre coste mentre loro facevano gli splendidi. La Francia poi non è proprio un paese a cui si può pensare di pestare i piedi come se niente fosse. Mantiene relazioni e soprattutto ramificazioni in Africa che Meloni e Tajani nemmeno immaginano. Al colpo di Stato antifrancese in Niger, ha risposto il colpo di Stato filo francese in Gabon. Un segnale tangibile per tutta l’area post coloniale. Quando il governo italiano si era posto in una posizione interlocutoria con la giunta militare del Niger, i nostri soldati restano consegnati in caserma, i ribelli tutelano i nostri civili, l’ineffabile Tajani, la Francia riuniva l’Ecowas e oggi rinforza la sua posizione con il Gabon appunto. Si sta per aprire una partita letale, in ballo c’è l’uranio, e l’Italia va appresso al vaticano, bisogna salvare i migranti nel deserto. Lo Spirito Santo. Ci eravamo permessi di suggerire al governo di tenere stretti i rapporti con Parigi esattamente come avevano fatto Mattarella e Draghi. Manco a dirlo, cosa volete che conti la Francia per Meloni e Tajani? Adesso si inizia a vedere dove andranno a finire questi due colossi sorti sulle nostre sponde. Intanto si iniziano a misurare con il senso del ridicolo.