Una organizzazione statale su base decentrata e federativa si può conseguire solo se si svolge su presupposti culturali, politici e sociali fortemente caratterizzanti la vita della Nazione: è necessario essere “unificati” per conseguire l’efficacia che può apportare l’autonomia differenziata. Come valutare quindi il percorso di attuazione di autonomia differenziata prospettato dal provvedimento legislativo voluto dal governo, se ancora oggi non si dispone di meccanismi, di finanziamenti e della pianificazione delle funzioni già oggi devolute (Titolo quinto della Costituzione)? È infatti difficile far funzionare il finanziamento delle funzioni aggiuntive per alcune specifiche regioni (quelle differenziate) se prima, o quantomeno parallelamente, non viene data attuazione al meccanismo di finanziamento e perequazione delle funzioni già oggi attribuite a tutte le regioni (federalismo simmetrico).
La frammentazione delle competenze in alcuni ambiti dell’intervento pubblico di primaria rilevanza potrebbe provocare una squilibrata ripartizione tra le singole regioni; inducendo così inefficienze economiche, riducendo l’efficacia delle politiche pubbliche, e rendendo oltremodo difficile l’operatività delle imprese. Specialmente di quelle che operano su scala sovra regionale, che dovrebbero rapportarsi con procedure regolative differenziate territorialmente. Ricordiamo sinteticamente che il disegno di legge, approvato al momento solo in un ramo del parlamento, regolamenta essenzialmente due questioni della problematica complessiva: la normativa e le procedure attraverso le quali dar corso e realizzare gli accordi di programma stato- regione; le modalità per definire il trasferimento di risorse umane, finanziarie ed infrastrutturali per consentire alle regioni di poter gestire le competenze delegate. La prima discrasia che subito si evidenzia è rappresentata dalla tempistica di attuazione delle due operazioni prima indicate, rendendo possibile una disorganicità attuativa tra le regioni, ed eventualmente all’interno di ognuna di esse. In sintesi, non tutte le regioni potrebbero ottenere contestualmente tutte le competenze che possono essere devolute; creando così sul territorio una situazione a macchia di leopardo. Ma mentre il trasferimento di competenze che non comportano trasferimenti di personale, di risorse finanziarie, di strutture operative possono essere richieste da ogni singola regione già all’indomani dell’approvazione definitiva della legge, per quelle che richiedono invece tali integrazioni, che necessariamente comportano interventi sull’attuale assetto organizzativo ed infrastrutturale dello Stato, e/o interventi a carico del bilancio nazionale la richiesta delle materie da trasferire può avvenire solo dopo l’approvazione dei LEP (livelli essenziali delle prestazioni), dell’individuazione dei precisi fabbisogni fino finanziari, della definizione degli organici e delle strutture operative. Al momento per definire tutto ciò viene prospettato un lasso di tempo pari a 24 mesi. Resta però un problema di fondo che potrebbe nei fatti produrre rischi di sostenibilità finanziaria a livello nazionale e di iniquità tra territori. La determinazione delle risorse finanziarie, umane e strumentali, da attribuire alle regioni differenziate resta demandato alle singole intese, e dunque a una molteplicità di atti bilaterali. Ma se è comprensibile che le intese Stato-Regione definiscano le funzioni da attribuire, non è opportuno che la stessa opzione si applichi per la definizione dei criteri, che invece dovrebbero essere già indicati nella legge in approvazione, per poter dare il senso della compiutezza al progetto. Questa molteplicità di variabilità di approcci viene poi accentuata dall’assegnazione dei compiti per l’attribuzione delle risorse finanziarie, umane e strumentali alle commissioni paritetiche, una per ogni regione, la cui composizione, per come indicato nel testo (stato-regione-autonomie locali) sembra più tripartita che paritetica. Va da sé che l’assegnazione a una molteplicità di commissioni della valutazione delle risorse da attribuire, regione per regione, fa venir meno qualsiasi logica unitaria che invece dovrebbe essere posta a presidio di un coordinamento trasversale, sia per le regioni che per lo stesso stato. Il ruolo attribuito alle commissioni paritetiche introduce un pericoloso vulnus tanto più se a queste viene assegnato il compito di valutare l’allineamento fra i fabbisogni di spesa già definiti e l’andamento del gettito dei tributi compartecipati con conseguenti aggiustamenti delle aliquote di compartecipazione.
Ed infine va evidenziato che mentre l’attuazione del federalismo regionale simmetrico (la legge del 2009 prima richiamata) è indicata come “riforma abilitante” tra gli interventi del Pnrr, non sembra suscitare altrettante attenzioni da parte della politica nei confronti dell’autonomia differenziata; tanta da indurre una nota docente universitaria a definire questo provvedimento “UNA LEGGE PER ESSERE VOTATA, MA NON PER ESSERE APPLICATA”.