Ugo La Malfa nella seconda metà degli anni ’70 del secolo scorso, dopo essersi dimesso da ministro del Tesoro, indicava due modi per risolvere la crisi inflazionistica del paese, ridurre il costo del lavoro e ridurre la spesa pubblica. Il modello era quello laburista britannico che nel 1976 aveva tagliato la spesa per 1700 miliardi di sterline e puntava a tagliarne 2400 nel 1978. Ovviamente La Malfa non poteva sapere che sarebbe arrivata poi la signora Thatcher. In compenso, chiedeva che la si piantasse con la scala mobile a vantaggio di una politica dei redditi, per cui il contratto salariale si adegua al profitto. Infine la programmazione, perché lo Stato deve saper intervenire e magari prevenire i guasti del sistema pubblico. Il fine di tutto questo era la piena occupazione, ovvero la possibilità di sviluppo del paese nel suo complesso. La piena occupazione vince la povertà non i sussidi a tempo indeterminato da parte dello Stato. La visione di La Malfa portava l’Italia a stringere i suoi legami con l’Europa occidentale. Ancora quattro anni fa Domenico Proietti ha fatto una magnifica relazione sull’azione di Ugo La Malfa ad un convegno della Uil, dovrebbe solo avere la cura di inviarla al suo segretario e a quello della Cgil.
Ugo La Malfa guidava una forza politica minoritaria, tuttavia, questa sua opera costante di impegno critico ottenne un qualche successo. Tempo cinque anni un leader socialista avrebbe sostenuto l’abbandono della scala mobile, Bettino Craxi. I sindacati si apersero alla politica dei redditi. A questo serve una visione della realtà delle cose, forzare le circostanze più avverse, gettare un germoglio di speranza. Verrebbe da chiedersi qual è la visione che caratterizza le forze politiche che discutono oggi con il governo del salario minimo. Solo la Cisl ed Italia viva, che pure non parteciperanno all’incontro con il governo sul tema, sembrano disporre di una qualche capacità di riflessione. La Cisl ricorda la legislazione europea che prevede di rinforzare la contrattazione salariale dove è già applicata con successo, Italia viva teme con l’introduzione del salario minimo, il livellamento salariale verso il basso. Per il resto, da Conte a Calenda sono convinti di trovarsi nelle mani una nuova occasione per sconfiggere la povertà. Calenda ha persino postato un video esilarante, per cui se non ci si mette d’accordo si apre la strada al “totalitarismo”. Il luglio scorso l’ex direttore del Sole 24 ore Ernesto Auci aveva accusato di “banale demagogia politica” la segretaria del Pd e il capo del 5 Stelle, convinti come sono che con un salario minimo di 9 euro l’ora, potessero di colpo portare soldi in più nelle tasche dei lavoratori poveri. “Bastasse una legge per fare tutti un po’ più ricchi saremmo molto più felici!”. Piuttosto Auci era stupito che Calenda, segretario di un partito liberale, “potesse aderire a simili corbellerie senza nemmeno nominare la questione della produttività italiana stagnante da oltre vent’anni”. E Calenda non si è nemmeno accorto della posizione di Auci, ignora quale fosse la posizione di Ugo La Malfa e va beatamente appresso a Conte, come ci va la Schlein.
Il motivo per cui le retribuzioni in Italia sono salite assai meno che negli altri paesi europei dipende appunto non dalla volontà di sfruttare i dipendenti da parte di un padronato avido e cattivo, ma dal regresso di una situazione generale, esattamente come lo aveva fotografato Ugo La Malfa 50 anni fa. Tanto che se invece il presidente del consiglio decidesse di accontentare le opposizioni e mettesse il salario minimo per legge, non cambierebbe un bel niente, nel senso che o si lavorerebbe a meno in nero, o l’inflazione si mangerebbe rapidamente l’aumento salariale. In breve ci ritroveremmo al punto di partenza. Questo succede quando il paese è dominato da forze politiche affatto prive della capacità di lanciare un ponte verso la realtà, soprattutto verso quella del mondo del lavoro, che come quella dell’economia italiana, proprio non conoscono.
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