È difficile pensare che in una situazione critica come quella che vive l’intera comunità internazionale, con una minaccia atomica in corso, l’Italia si ritrovasse costretta al voto anticipato. Con un po’ di buon senso si poteva e si doveva evitare un simile scenario anche perché ci sarà un solo autentico vincitore delle elezioni, il partito del non voto che assiste con scetticismo, se non con fastidio, al riesumato teatrino della politica nostrana. Dai balletti dell’onorevole Meloni, alla cedevolezza verso Putin, fino alle promesse mirabolanti. Due mesi in cui non ci si è risparmiato niente, nemmeno il paradossale appello a Draghi da parte di chi lo ha fatto dimissionare, per risolvere i problemi a camere sciolte, che semmai dovrebbero affrontare loro nella prossima legislatura. Il rischio è che si potrebbe persino arrivare ai primi di novembre senza vedere un governo in carica e chissà poi se mai si dimostrerà all’altezza.
Avevamo sperato che il Partito democratico, riconosciutogli il merito del sostegno leale all’ esecutivo, si preoccupasse di promuovere un’area politica intenzionata a non disperdere l’opera compiuta da Draghi e di continuarla. Il Pd ha scelto invece di rilanciare questi che ci spiegano che l’agenda Draghi è meglio comprarla in cartoleria. Di Conte non vale la pena parlare. Abbiamo capito che non vuole armare l’Ucraina, ma non se è contro i gasificatori, o contro a chi è contro i gasificatori.
Del centro destra la migliore componente è quella che si ritrova con candidati arrestati per corruzione o con amministratori che passano il tempo a fare il saluto romano. Fratelli d’Italia ha comunque assunto un comportamento coerente durante tutta la legislatura e a differenza dei suoi alleati ritrovati, Salvini e Berlusconi, ha evitato di creare problemi al governo più di quelli che già doveva affrontare.
Calenda e Renzi sono invece gli unici che hanno avuto il pregio di indicare un programma europeista e atlantista coeso e di ritenere che solo Draghi potesse realizzarlo nel pieno interesse nazionale. Questo va loro riconosciuto volentieri e merita un sostegno che per quello che possiamo gli abbiamo dato.
Qualunque cosa accada all’indomani del voto se mai qualcuno vorrà cambiare la Costituzione, la campagna elettorale si è conclusa su una questione di tale delicatezza, è nel suo pieno diritto. La riforma della Costituzione è pienamente costituzionale con una maggioranza dei due terzi o con il referendum. È preferibile chi presenta un progetto di riforma generale della Costituzione rispetto a chi l’ha cambiata parzialmente senza nemmeno accorgersi di averlo fatto, come pure è accaduto dal 1994 in avanti, quando si sono costantemente ignorate le conseguenze dei cambiamenti compiuti, ultimo in ordine di tempo, non certo per importanza, il numero dei parlamentari. Se invece la Costituzione repubblicana rimarrà inalterata nonostante le tare già prodotte, l’articolo V per dirne una che tutti denunciano girandosi i pollici, per lo meno si scriva una legge elettorale congrua ai principi che la Costituzione ancora vigente continua ad esprimere. Allora si vedrà che se si vogliono far raccogliere le firme per presentare le liste, tutti i partiti devono farlo. Mentre se si deve mantenere il parlamento dove gli eletti sono liberi da un vincolo di mandato, si cancella la legge maggioritaria e si torna a quella proporzionale. Perché sia detto con chiarezza l’unica legge elettorale pertinente ad una Repubblica parlamentare è il puro sistema proporzionale.