Fermata dai giornalisti mentre si recava in ufficio, il ministro, signora Casellati ha spiegato con pazienza e circospezione la filosofia della riforma costituzionale presentata a suo nome. Ella ha detto che dopo una “lunga riflessione” si voleva proporre l’elezione diretta del presidente della Repubblica, ma, considerata l’obiezione delle opposizioni a riguardo, sarebbe andata bene anche l’elezione diretta del presidente del Consiglio. Argomento che sin dal suo incipit, il ministro perdoni, lascia per lo meno interdetti. La lunga riflessione condotta avrebbe portato a ritenere comunque importante eleggere uno dei due vertici istituzionali direttamente, quale che fosse? Nessuno dei giornalisti ha formulato una tale domanda e il ministro ha proseguito il suo excursus serenamente. Negli ultimi tredici anni non abbiamo più avuto governi scelti dagli italiani, questo il terribile problema a cui la maggioranza voleva ovviare. Ma allora, l’impostazione andrebbe capovolta, ovvero bisognerebbe ridisegnare integralmente la seconda parte della Costituzione, per la quale appunto il governo viene scelto dalle Camere, non dal popolo direttamente. Se poi il ministro, signora Casellati accetta un consiglio amichevole, la maggioranza prolunghi ancora la riflessione in modo da fissare bene questo aspetto specifico, per il quale la Costituzione repubblicana del 1948 presume un governo parlamentare e non un governo che esca la notte del voto dalle urne, cosa che pure, a dire il vero, chiedeva anche l’onorevole Bersani.
Altro argomento toccato dal ministro, quello secondo cui ad un dato momento, necessariamente, maggioranza ed opposizione si devono venire incontro. Ella ha detto si deve trovare “un punto di caduta”. Tuttavia se al Pd non si ricordano cosa diceva Bersani nel 2014, o quale fosse il progetto di riforma Ceccanti, 4 anni prima,, con tutta la buona volontà, questo “punto di caduta” appare un pio desiderio. Si escluda immediatamente una qualche intesa possibile con il movimento 5 stelle, la cui idea della Costituzione è riduciamo il numero dei parlamentari perché costano troppo. In queste condizioni il ministro Casellati dovrà necessariamente scordarsi che intervenga una qualche forza maggiore in grado di imporre un’intesa politica fra gruppi parlamentari contrapposti. Ritornassero piuttosto alla solidarietà nazionale, oppure si rimettano alla divina provvidenza. Tanto che, per quanto fosse brillante ed audace il progetto di riforma del governo, questo ha ricevuto una pioggia di quasi tremila emendamenti, il che, dispiace, conferma che il punto di caduta non si trova. Piuttosto andrebbe considerata caduta la proposta di riforma, e buon senso consiglierebbe di ricominciare la pratica da capo, magari partendo dal principio che eleggere direttamente il presidente del consiglio o eleggere direttamente il capo dello Stato, non è affatto equivalente.
Il ministro Casellati, poi, ha tutto il diritto di perseverare in quello che ritiene più opportuno ed infatti ha detto di aspettare qualcuno che le spieghi il motivo per cui sia diverso mettere il nome del presidente del consiglio sulla scheda piuttosto che non metterlo. A tutti gli effetti ha ragione. Per anni Forza Italia aveva sulla scheda il nome “Berlusconi presidente” e nemmeno si sapeva presidente di che, e anche quando Berlusconi diventava presidente del Consiglio, abbiamo visto che il Parlamento poteva serenamente destituirlo e scegliersi un altro al suo posto. La questione infatti, anche se ci sono state eccezioni di costituzionalità, ne mosse a suo tempo per primo Giovanni Sartori, non viene certo risolta dalla stampa della scheda. Piuttosto si tratta di riscrivere, come ha fatto il governo, l’articolo 92, per il quale “il presidente della Repubblica nomina il presidente del consiglio dei ministri” e senza nessuna eccezione. In pratica il presidente della Repubblica ha la libertà di nominare chi gli pare, dentro o fuori dal Parlamento. La Carta non prevede nemmeno le consultazioni, che sono solo una consuetudine del Capo dello Stato. L’articolo 92 è l’architrave stesso del titolo terzo della Costituzione, “il Governo”. Verrebbe da stupirsi che il ministro non si renda conto della posizione in cui si trova. Per intervenire su quattro articoli di questa rilevanza, il 52, l’88. il 92, appunto ed anche il 94, non basta riscrivere qualche comma. Bisogna convocare un’Assemblea costituente e formulare un nuovo e diverso impianto costituzionale. Buona fortuna.
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