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Ancora un’osservazione sul potere del popolo

Riccardo Bruno di Riccardo Bruno
19 Novembre 2023
in L'editoriale
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Sotto una stretta considerazione della storia del pensiero costituzionale non si riesce davvero a capire come possa essere un ampliamento del potere popolare, l’elezione diretta del capo del governo, come pure sostiene settimanalmente il presidente del Consiglio in carica. Tutto ciò che è teso al rafforzamento dell’esecutivo, va a detrimento delle prerogative popolari, che certo non possono essere surrogate in base ad un semplice principio di rappresentanza. Paradossalmente, il popolo, per avere davvero potere, dovrebbe votare solo per se stesso, un soggetto collettivo e plurale ed è per questa ragione che sono stati riconosciuti i partiti. Per evitare lo strapotere degli eletti sulla loro massa elettorale. Nell’elaborato sistema costituzionale della Repubblica italiana, poi, se si vuole aumentare il potere popolare, si dovrebbero riformare i partiti, ovvero preoccuparsi dell’accessibilità e del rinnovo della cariche degli stessi. Questioni tutte molto delicate, La pretesa dell’obbligo del rispetto dei due mandati è giustamente controversa, in quanto un partito può ritenere necessario affidarsi al medesimo gruppo dirigente molto più a lungo anche nelle sedi istituzionali, oltre che al suo interno e quindi una regola dei due mandati diverrebbe pleonastica.

Questo però non significa che chi propone l’elezione diretta del presidente del consiglio, il premierato, voglia necessariamente “comandare”, come sostiene l’accusa dell’onorevole Schlein rivolta al latore della riforma. Se l’onorevole Meloni voleva “comandare”, allora il capitolato presentato al Quirinale doveva essere molto più coinciso, “il popolo elegge direttamente il presidente del Consiglio a vita”. Soltanto l’inamovibilità consente il comando, l’elezione diretta del presidente del Consiglio, semmai dovrebbe promuoverne l’autorità. A riguardo è stato esplicito il ministro Tajani che ha detto di volere un governo più autorevole, ovvero uno diverso da quello in cui siede lui. Magari si dimette e non c’è bisogno della riforma costituzionale.

Altra particolarità curiosa, perché l’autorità in politica non si estende per legge, si rischia di rendere autorevole chi pure non lo sarebbe per niente. Il capitolato del governo avrebbe fatto meglio ad essere piuttosto, “il popolo elegge direttamente l’onorevole Meloni, presidente del Consiglio”. Altrimenti non sarà un grosso problema rimandare a casa una qualche autorità posticcia. Piuttosto il testo di legge predisposto potrebbe consentire il congedo troppo presto, poiché non rende stabile il premier ma il governo, la cui maggioranza potrebbe, non si capisce con che meccanismo, sostituire il premier eletto direttamente, con uno non eletto.. Tale successore che si insedierebbe senza bisogno di un voto di fiducia, può sciogliere le camere per cui costui sarebbe più forte del sostituito eletto e sottoposto alla fiducia. La riforma proposta non da più potere al popolo, come è ovvio e soprattutto non consente nemmeno al presidente eletto di comandare un bel niente. Abbiamo piuttosto una legge da basso impero dove l’ombra del complotto si annida in ogni angolo del palazzo.

E’ invece molto plausibile che un simile guazzabuglio possa piacere alla fantasia degli italiani, che non vedrebbero l’ora di poter votare direttamente un presidente del consiglio anche uno che sarebbe mandato a casa da una altro non eletto e diventato tanto potente da costringerli a subirlo fino alla decadenza dell’intero governo, 5 lunghissimi anni.. Del resto ai tacchini piace il Natale, quando vengono tolti dalla gabbia e non vedono la tavola che li aspetta.

Domaine de la Ville de Vizille MDLRF

Tags: popolopotere
Riccardo Bruno

Riccardo Bruno

Riccardo Bruno si è laureato in Storia della Filosofia presso l'Università di Roma La Sapienza nel 1988. Dal 1987 al 1989 collabora all'Ufficio esteri del PRI diretto dall'onorevole Vittorio Olcese. Dal 1994 è capo ufficio stampa del PRI, dal 1995 giornalista professionista iscritto alla stampa parlamentare. Nel 1999 è capo redattore de La Voce Repubblicana. È stato poi editorialista per il Foglio di Giuliano Ferrara e l'Indipendente di Vittorio Feltri. Dal 2019 è prima vice direttore de La Voce Repubblicana e poi direttore politico

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