“Coscienza e Ragione” per Aurelio Saffi sono i fondamenti necessari per la comprensione e l’interpretazione della Storia, ma sono anche il binomio inscindibile che caratterizzarono il suo pensiero e che guidarono la sua intensa attività politica: “con la Ragione l’uomo comprende le leggi, i suoi doveri, con la libertà di coscienza può praticare la Legge, fondata su valori morali”.
Alla base di tutto furono determinanti sia il contesto culturale e sociale in cui visse il giovane Saffi, in particolare la sua famiglia, i suoi “maestri”, il “microcosmo” della villa di San Varano, sia l’ampia formazione storica, letteraria, filosofica che, con quella giuridica, determinò la sua preparazione alla politica.
Nato a Forlì il 13 ottobre 1819, visse nella sua città, allora provincia della Stato Pontificio, in un ambito familiare assai proteso verso idee di libertà, progresso, giustizia ed a tutto ciò che rappresentava il “nuovo”, per certi aspetti il “rivoluzionario”: il nonno Tommaso Saffi fu presidente della Municipalità di Forlì, sotto Napoleone, l’altro nonno, Antonio Romagnoli, entrò nella Guardia Nazionale Repubblicana di Forlì, il padre Girolamo partecipò alla sommossa delle Province Unite nel 1831, lo zio Giovanni Romagnoli era stato a lungo in Francia durante i moti del 1820-21 (fu poi uno dei primi ad aderire alla Giovane Italia di Mazzini), la stessa villa di S. Varano fu sede di una società segreta carbonara,”La vendita dell’amaranto”, che si distingueva dalle altre per le sue posizioni innovative (diritto al voto, costituzione, giustizia sociale..), rispetto alle altre “vendite”.
Nella sua adolescenza il giovane Saffi, grazie, anche, all’influenza di uomini di cultura come l’abate Gaetano Rosetti, studioso e docente di materie classiche e di storia locale, si dedicò allo studio della letteratura latina (Virgilio), da cui trasse i valori della Pietas, intesa come senso del dovere, come armonia dell’universo e dei rapporti umani, (Lucrezio), di cui apprezzo la libertà di pensiero e l’avversione alle rigide convenzioni del suo tempo, amò Dante, s’interessò alla storia, in particolare a quella medievale, alla gloriosa vicenda dei liberi Comuni, che seppero darsi ordinamenti e leggi popolari. Studiò, sospinto dallo zio Giovanni, l’Illuminismo francese (Diderot, Voltaire), con la sua esaltazione della “Ragione”, apprezzò, la poesia neoclassica di Foscolo, il suo romanzo epistolare sui temi della patria, dell’esilio e della libertà, ma soprattutto, il Romanticismo italiano, per la valenza storica, sociale, morale ed educativa che Manzoni, con le sue opere, gli aveva saputo imprimere.
S’interessò all’arte, alla pittura e alla musica, si avvicinò con interesse alla letteratura inglese, per lui ispiratrice di un ideale laico-borghese, ricca di sentimenti universali, come nelle opere di Alexander Pope, di Geoffrey Chauser, di William Shakespeare, si appassionò allo studio della filosofia, prima quella “classica”, poi quella del Diritto, concentrandosi, sulla concezione dello stato di John Locke e di Condillac, sui concetti di coscienza in Hegel (Fenomenologia dello spirito) e di morale in Kant (Critica della ragion pratica), filosofo, quest’ultimo, che ne influenzò notevolmente il pensiero e l’azione politica (l’imperativo categorico del dovere morale, la pace perpetua…).
Metterà al servizio della comunità, nelle diverse fasi della sua vita politica, proprio questa sua poliedrica formazione culturale, fin da giovane funzionario della Deputazione Provinciale di Forlì (1845), quando criticherà, con le giuste argomentazioni, la politica retrograda e oscurantista dello Stato Pontificio, proporrà il diritto al voto, l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, l’equa fiscalità, la libertà di commercio, la dignità del lavoro e sarà fautore della Società di Mutuo Soccorso, del Patto di Fratellanza operaio, del principio di collaborazione fra le classi sociali.
Nella gloriosa e pur breve esperienza di vice presidente dell’Assemblea Costituente, il senso etico della vita, il culto della libertà di coscienza, la religione del Dovere e la Ragione gli ispirarono molti dei principi contenuti nella Costituzione della Repubblica Romana del 1849 e ne guidarono l’azione di ministro degli interni, quando si adoperò intensamente, nella giovane repubblica, per il ripristino dell’ordine e della legalità, l’aiuto alle famiglie bisognose, la distribuzione ai contadini dei beni demaniali, la riduzione della tassa sulla farina, la libertà di culto, l’equità del sistema fiscale. Fu l’epoca della grande amicizia con Mazzini, di cui condivise il Pensiero e, per vari anni, l’esilio, prima in Svizzera, poi a Londra, dove conoscerà e sposerà la sua amata Giorgina Janet Craufurd e dove si farà apprezzare per la sua vasta cultura e per la sua vena di scrittore, tanto da diventare docente di lingua e letteratura italiana presso il prestigioso Taylor Institution.
Agì sempre con misura, con senso di responsabilità, guidato dai suoi principi, ma senza essere intransigente, e, a differenza di Mazzini, politico “vero”, Saffi si interessò soprattutto a ciò che era “alla base della politica”, ai rapporti umani, al dialogo costruttivo, al bene comune, alla concordia; quando si dimise da deputato del nuovo parlamento del Regno d’Italia, per non aver condiviso la politica oppressiva nel sud, ritornò in Romagna e, dal 1867, si adoperò per il rinnovamento dei Municipi, che per lui rappresentavano “piccole repubbliche”, istituzioni intermedie tra cittadino e stato, in cui sperimentare nuovi ordinamenti, nuovi rapporti sociali, il vero progresso civile, un modello istituzionale da esportare nelle altre regioni italiane: il Municipio visto come scuola di democrazia, che promuove l’educazione e la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. Fu così che, grazie a quella visione lungimirante della politica, nacquero e si svilupparono le Banche di Credito, le Associazioni di Mutuo Soccorso, le scuole popolari, le Consociazioni delle società popolari di Romagna, ispirate alla concordia e all’associazionismo, con uno spirito contrario alla lotta di classe. Fu prezioso collaboratore della moglie Giorgina nelle battaglie che ella intraprese a favore dell’emancipazione delle donne negli ambiti del lavoro, dell’istruzione, della politica e nell’impegno contro il triste fenomeno della prostituzione femminile.
Negli ultimi anni di vita, dal 1880 al 1890, fu professore di diritto pubblico presso l’Università di Bologna e da quella cattedra sviluppò un nuovo interesse verso le “relazioni ed i trattati Internazionali”, disciplina che aveva come basi il pensiero mazziniano della “fratellanza universale” e quello kantiano di “pace perpetua”, un’idea che anticipava, di fatto, la “Società delle Nazioni” del 1919: ancora una volta una grande intuizione politica supportata da tensione morale e da presupposti culturali. Nel suo testamento (morì il 10 aprile del 1890), scrisse, fra l’altro, rivolgendosi ai figli : “ …e dando questo tenue segno del molto amore che ad essi mi lega, li esorto a perseverare nella virtù del lavoro, de’ costumi, della mutua assistenza ed educazione, nella severa osservanza dei loro doveri privati e pubblici..nella fede in que’ principi d’ordine morale, politico e sociale che il più grande istitutore della patria risorta, Giuseppe Mazzini, attinse alle sue più gloriose tradizioni…”. L’ultima testimonianza di un grande patriota e della sua coerenza morale e politica.