Se avete la pazienza di prendere i giornali di un anno fa, 11 luglio 2021, leggerete la stessa situazione della maggioranza di governo e con le stesse parole che trovate sui giornali di oggi. L’avvocato Conte, ancora non era stato eletto presidente del movimento 5 stelle e pure i suoi già lo annunciavano e pronto a scatenare “la terza guerra mondiale”. All’epoca le ragioni di risentimento erano scaturite dal nuovo processo penale giudicato “un vero disastro”. Si prevedevano quindi “conseguenze importanti per il governo”. Nemmeno a dirlo, anche allora “Giuseppe non voleva abbandonare la maggioranza”, ma se Draghi avesse continuato “a schiaffeggiare il Movimento, i suoi valori e le sue istanze”, ecco che “sarà lui a spingerci fuori”. Si era persino anticipato il caso traumatico per il quale Draghi aveva telefonato a Grillo ignorando Conte, che pure era in procinto di diventare il leader. I suoi sostenitori, dimenticandosi magari che Grillo proprio in quei giorni aveva definito Conte “un incapace privo di visione politica”, anticipavano le rivelazioni del sociologo De Masi della settimana scorsa. E davvero non si capisce perché mai Draghi a quel tempo avrebbe dovuto pensare che Conte potesse diventare il capo del movimento. Draghi è una persona normale, che crede nelle conseguenze. Gli esponenti del movimento cinque stelle no, infatti stanno esattamente nella situazione di un anno fa, persino nell’uso delle parole e rimproverano ancora al presidente del consiglio il presunto sgarbo di allora.
Questa imbarazzante fotocopia della situazione di oggi ad un anno di distanza suscita un sentimento di profonda pena, tale da comprendere che qualcuno abbia preferito voltare le spalle al movimento e andarsene. Anche perché l’unica differenza che si riscontra rispetto all’11 luglio 2021, è la disperazione elettoralistica che caratterizza l’11 luglio del 2022. Si leggono pareri per i quali gli esponenti del movimento 5 stelle sono convinti di essere arrivati all’8 per cento stando al governo, e che se lo lasciassero, magari a settembre, potrebbero tornare al 20. Che aspettano a rompere allora? Magari se rompessero già adesso potrebbero sognare il 30 per cento dei consensi.
La voce repubblicana, nella sua tradizione, non ama dare lezioni di democrazia a nessuno. C’è il Fatto quotidiano con Barbara Spinelli utilissimo per questo, anche se magari un trotzkista come Gramsci non è proprio l’esempio storico più efficace a riguardo da citare. Ciononostante una certa sensibilità al tema specifico l’abbiamo, ad esempio, un vecchio amico come Beppe Severgnini sul Corriere della sera, si chiede come mai le democrazie “non imparino”, non diventino “più sagge”. Caro Beppe, non è la saggezza il compito della democrazia. Nemmeno si prevede la capacità di imparare dai suoi errori. Il popolo ha necessariamente un difetto di memoria. Sono le élite semmai quelle costrette a rivangarla, anche a distanza di un solo anno, altrimenti, se il popolo avesse la precisa memoria di un solo anno, uno come Conte non sarebbe preso a schiaffi, ma a pernacchie.
Le democrazie, incapaci di saggezza, pretendono però comportamenti coerenti. Uno può stare al governo, può uscire dal governo, e può persino criticare il governo dall’interno infinitamente, purché questo sia fatto in nome di un interesse popolare, quale si voglia. Se invece l’interesse è solo quello della fazione a cui appartiene, o peggio delle proprie ambizioni personali, potete stare tranquilli di scoprire la grande dote della democrazia che ha fatto di quella un elemento di successo per più di tre secoli. La democrazia è capace di passarvi sopra con tutto il suo peso e di calpestarvi. Altro che prender schiaffi.