Avevo una grande considerazione di Alessandro Barbero. Ma un paio di cretinate me lo hanno messo in cattiva luce. Che ha combinato? Niente di serissimo, ma ho visto un suo video, sulle frottole sui Templari che è un’offesa all’intelligenza. Parte, Barbero, con la consueta preparazione e precisione e dice quello che tutti sanno. Lo dice bene, è il suo mestiere, sa farsi ascoltare, ha padronanza del racconto. Nella sostanza: i Templari non esistono più, sono stati sciolti dalla Chiesa nel 1312 e basta. Il resto è Walt Disney. Giusto. Ma arriva il finale. E dice che se c’è Dan Brown (che dal canto suo fa il suo mestiere, non fa lo storico ma lo scrittore di romanzi avvincenti) la colpa è tutta dei massoni. «Noi non siamo una cosa nuova. Siamo una cosa antichissima. Noi abbiamo una sapienza segreta che viene da… dai Templari». E giù a ridere. Insomma, per Barbero, i massoni sono dei gran cazzoni che si divertono a sparar sciocchezze, e millantano cose impossibili della loro storia. Mitomani. Peccato che la Massoneria non sostenga, e non abbia mai sostenuto, una enormità del genere. In Massoneria, detta per inciso, si parla di ‘mito’ templare. Un ‘mito’ peraltro che nemmeno riguarda la pretesa trasmissione di ‘sapere’. Ma che fa prendere forma a un contenuto teoretico, la vendetta per gli assolutismi (Clemente V e Filippo il Bello) nella versione del Rito Scozzese, e la difesa del Tempio di Re Salomone che i ‘muratori’ hanno costruito (nella versione, più diffusa nel mondo, del Rito di York). Cioè, se il libero muratore è impegnato in loggia a costruire assieme ai suoi fratelli il ‘Tempio’ di Re Salomone (che simboleggia il tempio dell’umanità da costruire, appunto), appare normale che questo patrimonio valoriale e conoscitivo vada poi difeso (dai cavalieri del Tempio, appunto). La Massoneria ha natura simbolica e la sua stessa ritualità non è altro che simbologia in movimento. Ma da un punto di vista banalmente storico la Massoneria nasce nel 1717 (e il Rito Scozzese nel 1801). Finita qua. Poi, ovvio, c’è qualche autore, qualche storico, che ritiene ci siano state delle sopravvivenze dell’esperienza dei Templari, ma meriti e colpe, nel caso, sono tutte per loro, non per la Massoneria. Anche qui, è come se qualcuno leggesse la storia della Chiesa a partire da Mamma Ebe, tralasciando Agostino e Tommaso d’Aquino, e sfottesse il Vaticano. Barbero questo fa. Dice una cosa inesatta, confondendo un contenuto mitico con una discendenza storica, e poi dà pure degli imbecilli agli altri, come se l’errore non fosse il suo e in Massoneria non ci fossero storici, filosofi o professori universitari, ma ci fossero solo imbroglioni e creduloni. Ricordo di aver partecipato a un convegno, a Napoli, proprio sui Templari, con me c’era un massone che si chiama Alessandro Cecchi Paone. I contenuti sono facilmente reperibili in rete. Ma la ciccia era questa qui. Il mito è metastoria. Qualcosa che David F. Strauss aveva fatto persino con la religione, sulla scia di studi teoretici avviati da massoni come Hegel, Fichte, Reinhold, Schelling (e poi proseguiti in Italia da Augusto Vera e Raffaele Mariano, prima, e da Croce e Gentile, poi). Cioè: che è addirittura la natura della storia. E la storia non la puoi fare che così, a partire da un contenuto che esprime, altrimenti è semplice collezionismo di fatti greggi.
Poi ho letto una riflessione di Barbero sulla filosofia e ho capito che non è un problema che ha con la Massoneria, è un proprio un limite suo. Dice: «Salvemini, che era uno storico, diceva: “La filosofia non è dannosa, è semplicemente inutile, o meglio è dannosa in quanto fa perdere un sacco di tempo alla gente”. Molti storici in cuor loro pensano questo. Io devo dire che constato spesso con i miei studenti all’università che quelli di filosofia sono in media nettamente più intelligenti, i più bravi, i più motivati, ma hanno enormi difficoltà a fare bene gli esami di storia. Per qualche ragione la mentalità dello storico e quella del filosofo sono diverse e non ho mai capito in che senso, ma certamente il problema si pone, quindi io alla filosofia concedo il beneficio del dubbio, evidentemente a qualcosa deve servire».
Ecco perché Barbero ha detto quella sciocchezza. Perché “non ha voluto perdere un sacco di tempo” e si è convinto che la storia sia giustapposizione di eventi e non espressione di un significato. Non servono più a niente gli ammonimenti di Croce e Gentile. Non serve più a niente Mariano che già nell’Ottocento avvertiva: «La storia, che sia dei tempi andati o dei presenti, non è uno scheletro; non è un mucchio di ossa e di cose spezzate e morte. È bensì un insieme, un complesso internamente legantesi, un organismo, insomma, di cose, di azioni umane, e quindi di sentimenti, di pensieri, d’intenzioni, di fini umani appunto; che vuol dire, morali e spirituali. Tale organismo di cose e di azioni si tratta di rendere vivo, di coglierlo, cioè, nell’intimità del suo formarsi e del suo svolgersi. E ciò non è possibile senza farlo passare pel crogiolo della verità, senza guardarlo attraverso le lenti della moralità e della giustizia, e quindi senza portarne giudizio e pronunziare spesso riprovazioni e condanne. Solo così la storia ha un valore, e può anche servire alla vita: se no, non giova a nulla, e vale meno di nulla». E oggi dobbiamo fare i conti con storici à la Barbero per cui esistono soltanto gli archivi e il cui unico merito è saper collezionare “vecchie carte”. Non esiste nessun’altra storia che questa. Parlare di pensiero, di coscienza, di principi e di idee che si fanno plastiche e si svolgono nel palcoscenico del tempo vuol dire far poesia, far filosofia, non storia. La storia viene così spogliata del suo aspetto principale, quello teleologico. La storia si svolge verso il proprio fine, verso la propria destinazione. Questo il senso in Hegel dello sviluppo, nella prefazione alla Fenomenologia e nelle sue Lezioni sulla filosofia della storia. Solo il Risultato, e tutte le tappe che lo hanno prodotto, conta. Così il passato è “davvero luce e lume pel presente, e anche per l’avvenire”. Invece la ricerca storica dell’intrattenitore torinese si sente di potersi chiamar fuori da questo compito, si limita a ristabilire nei testi l’interpunzione giusta, “a restituirli a miglior lezione, a correggere i fonti, sostituendo, non so, alle congiunzioni le particelle responsive o esplicative, e agl’imperfetti gli aoristi o viceversa, a badaluccare e ad azzuffarsi per colmare lacune, per cui, dopo colmate, i documenti non dicono né ci fanno apprendere niente più di prima: tutto questo fantasticare ed annaspare ed agitarsi, per aspro e faticoso che possa parere è, per sé solo, lavoro che d’ordinario non cava un ragno dal buco, e lascia il tempo che trova. Voglio dire, che in massima parte codesto lavoro non illumina gl’intelletti e non riscalda i cuori e non parla e non comunica niente alle coscienze”.
Mi si dirà: ma Barbero stava scherzando. Bene. Ho voluto scherzare pure io, questa mattina mi sento allegro.
Dipinto di François Fleury-Richard. Foto Xavier Caré | Wikimedia Commons | CC-BY-SA