Avere un quadro definito della situazione in Niger è impresa che potrebbe essere proibitiva per gli stessi vertici istituzionali appena deposti di quel paese, considerato che il presidente del Consiglio nigerino era ospite a Roma mentre la guardia presidenziale attuava il colpo di Stato. A maggior ragione tutti gli osservatori internazionali non possono essere in grado di sapere il livello di complicità e di radicamento dei militari golpisti, come non possono sapere se lo stesso governo legittimo possa aver avuto una qualche parte nella vicenda. L’unica cosa che si sa con certezza è che la tecnica del colpo di Stato è sempre diventata più frequente in tutta l’area sub sahariana, e che una volta la principale responsabile era la Francia, mentre adesso ne è diventata la prima vittima. Il ruolo della Francia in Africa nell’epopea post coloniale è tutto ancora da scrivere, anche perché non è mai stato sotto i riflettori dell’opinione pubblica europea, quasi la cosa non la riguardasse. La Francia ha ancora combattuto in Mali dal 2013 al 2021, subendo una ingloriosa disfatta politica militare e nessuno se ne è mai particolarmente occupato al di fuori degli specialisti del settore, in Italia ne contiamo di eccezionali ma sulle punta delle dita, come Domenico Quirico. Il Mali appare del resto una regione ignota e lontanissima per quanto i colpi di Stato si sono succeduti a ritmo vertiginoso dagli anni ’60 del secolo scorso fino a questo nuovo millennio che ha registrato per l’appunto una guerra lunga otto anni, al più rendicontata da qualche trafiletto sui giornali. D’altra parte, l’opinione pubblica occidentale non si è nemmeno troppo preoccupata delle ragioni per le quali Sarkozy abbia voluto rovesciare Gheddafi. Perché Obama, fautore delle primavere arabe, si capisce. La Francia amica di quasi tutti i dittatori che le primavere volevano gettare a mare, molto meno.
Macron ha deciso di ritirare le truppe spiegate da Holland abbandonando un paese in cui continua una guerra civile, ci sono almeno tre religioni e dieci etnie diverse in Mali, riducendo così la sua influenza in un settore altamente strategico. È vero che il riferimento francese nella guerra al terrorismo islamico resta il Ciad, la principale potenza militare dell’area. Non fosse che anche i rapporti francesi con il Ciad si sono incrinati nel momento nel quale la famiglia al potere, assassinato Deby padre, c’è ora Deby figlio, non intende aprire nessuna transizione democratica. Per cui in pratica il Ciad dalla guerra al terrorismo è passato alla lotta all’opposizione. Perso anche il controllo del Burkina Faso, che per la verità era rilevante solo per tenere sotto pressione la Costa d’Avorio, al momento considerata sicura, chissà, alla Francia restava solo il Niger. Ed ecco che si trova le bandiere russe davanti alla sua ambasciata assediata dalla folla di Niamey. Fortunatamente Parigi è stata subito rincuorata dal ministro degli Esteri italiano, l’onorevole Tajani che in un’ intervista a Repubblica ha asserito che non è Putin a guidare la carica, sono solo i francesi ad essere proprio odiati.
Le agenzia di stampa avevano lasciato subito trapelare l’ipotesi di un intervento militare francese contro i golpisti, lo stesso che l’Ecowas pur sconsigliandolo, considera un’estrema opzione. Il ministro degli Esteri italiano, ha ancora avuto un tono rassicurante, nessuno dall’Eliseo gliene ha parlato, tanto che l’Italia tiene aperta l’ambasciata, non si sente minacciata, questi golpisti sono dei bravi ragazzi in fondo. Hanno scortato i nostri compatrioti all’aeroporto senza scannarli. Quindi si perseguirà l’opzione diplomatica. La politica italiana condivide la posizione del pontefice che rattrappito nel dolore davanti ai migranti nigerini respinti dalla Tunisia nel deserto, vuole che vengano salvati. Che dire? Umanamente encomiabile. A parte che ci sarebbe da capire se il presidente Saied respingendo i migranti non ritiene di soddisfare le condizioni di intesa con il nostro paese, Taiani ha comunque ragione quando dice che l’Italia “vuole continuare a contare” nella Regione. Per cui i soldati presenti, un contingente di 350 uomini, resterà al suo posto, seppure consegnato in caserma. Ora, nessuno pretende che l’Italia persegua i fasti della Legione, visto anche le conseguenze poi, e il ministro Tajani esprime al meglio le perplessità che sottendono un contesto così complesso ed accidentato. Dovrà solo spiegarci come pensa di contare in una Regione, dove, una volta escluso a priori l’intervento militare, i nostri soldati stiano chiusi e buoni nel loro fortino. Tanto vale ritirarli e sostituirli con la Emergency del mitico Gino Strada. Quelli girano eccome.
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Formidabile il pezzo di Riccardo sulla situazione in Niger.Come il giudizio che da sul cosiddetto ministro degli Esteri italiano.