La sovranità del popolo, secondo l’ordinamento della Repubblica italiana, è esercitata, Articolo 1, “nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Quando si tratta di rispettarne la volontà, bisognerebbe anche ricordarsi che questa non è assolutamente libera, al contrario e soprattutto non è di appannaggio esclusivo del governo. Il Parlamento dispone pur sempre di una minoranza, a volte consistente, che esprime una valutazione diversa e anche questa è parte a pieno titolo della volontà popolare, altrimenti bisognerebbe cancellare l’opposizione della vita democratica, cosa che insieme con il cancellare le prerogative della magistratura, conduce direttamente allo Stato totalitario.
La magistratura è in effetti un soggetto molto scomodo nell’ordinamento repubblicano, ed istituita esattamente per esser tale. Essa è indipendente ed esclusivamente sottoposta alla legge. Essendo plausibile che la legge venga contestata in sede di dibattito parlamentare, la magistratura, o un singolo magistrato, sbagliando, potrebbe tenere conto delle contestazioni espresse. La ragione per la quale, il momento legislativo del parlamento, cerca, se possibile, un consenso oltre alla mera maggioranza di governo. Quando il decreto governativo, che semplifica e accelera i tempi di conversione in legge dello Stato, comporta la caratteristica inversa. Conseguentemente, può trovare un’avversione popolare più ampia di quanto pure il governo vorrebbe. Si intende un governo democratico e repubblicano, un governo che rispetta la volontà popolare, non che pretenda di esaurirla.
Nei secoli passati, consapevoli di questa situazione scabrosa, convinti democratici e repubblicani preferivano, alla “volontà popolare”, la “volontà generale”, ovvero una volontà capace di indicare il bene della nazione, anche se espressa all’occorrenza da una condizione di minoranza. Il processo democratico è un processo complesso, difficile e articolato in quanto la massa del popolo è pur sempre disomogenea e capace di contrasti radicati e profondi e non è detto che le masse abbiano sempre ragione, a contrario di quello che pensano i populisti.
In una repubblica democratica come quella italiana, non spetta al solo governo stabilire quali siano le prerogative del diritto nazionale e soprattutto di quello internazionale. Vi sarà pur sempre la possibilità residua di una voce isolata di parere avverso, per non dire delle istituzioni preposte a livello europeo che il governo ha scelto di ignorare. Se il governo presumeva di dettare in solitudine una lista di paesi considerati sicuri, avrebbe fatto bene a prendersi il tempo necessario per un dibattito parlamentare per coinvolgere le opposizioni. La “volontà popolare” oggi conta un 50 per cento dell’elettorato estraneo alle urne e pure, una sua qualche opinione su temi tanto delicati e su cosa sia sicuro e cosa no, vi sarà necessariamente. La “volontà popolare” espressa dal governo non supera il trentacinque per cento del corpo nazionale e se ha pienamente valore legale, dovrà comunque misurarsi con il rimanente sessantacinque per cento che potrebbe benissimo trovare soggetti nei tribunali o nelle procure.
Per rendersi conto di quanto sia accidentato il percorso scelto dal governo, basta constatare che esso stesso ha modificato la prima lista di paesi sicuri escludendone ben tre in quella varata successivamente. Aggiungendo che si potrebbero decidere ulteriori aggiornamenti, un migrante proveniente da un paese insicuro, il Camerun secondo la lista di oggi, comunque vi sarebbe stato ieri rimpatriato. Per lo meno coloro che si sentono in grado di stabilire per tutti il diritto nazionale ed internazionale, dovrebbero tracciare dei fondamenti di certezza e non la certezza di doverlo aggiornare, come ha fatto il governo.
Altrimenti ci si riduce nella condizione disperata degli avamposti sperduti in territorio indiano, corvo rosso, toga rossa, non avrai il mio scalpo. Vai poi a sapere se la cavalleria arriverà in tempo a salvarlo e se, soprattutto, ne valga la pena.
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