Un’elezione maggioritaria con recupero della quota proporzionale, che esiste solo in Italia, riesce a mettere in luce i difetti di entrambi i sistemi. Da una parte si radicalizza il conflitto politico nel paese, “di qua, o di là”, si sono subito messi a dire come ai tempi dei Montecchi e dei Capuleti. Dall’altra si mantengono critici i rapporti interni alla stessa coalizione. Quando poi i fautori del sistema maggioritario puro sostengono che l’instabilità di governo nel proporzionale dipendeva dai piccoli partiti litigiosi, mentono. L’instabilità di governo nasceva dalle correnti interne al principale partito di maggioranza, la Dc e soprattutto la Costituzione repubblicana del ’48, la Costituzione antifascista, non vede affatto di cattivo occhio l’instabilità di governo, si preoccupa piuttosto della tenuta del parlamento. In ogni caso, una volta introdotto il maggioritario i piccoli partiti sono moltiplicati. Pochi voti possono essere decisivi nei collegi marginali, mentre quelli medio grandi litigano fra loro all’interno della stessa coalizione. Ieri Rifondazione comunista e il Pds, l’Udc e Forza Italia, esattamente come succede oggi fra Lega e Forza Italia, che si contendono quel punto percentuale per divenire la seconda forza di governo. L’onorevole Schlein ha poco di che compiacersi. Un giorno le toccherà spiegare come possa anche solo proporre un’alleanza di governo con chi vuole arrestare Netanyahu e fare la pace con Putin, ritenendo un criminale il primo e uno statista il secondo.
In compenso bisogna riconoscere al Pd che è stato ammirevole. Appena si sono trattate le nomine in Rai, non ci si è fiondato sopra come il partito di Conte e anche se avesse considerato di aver già fatto il pieno, in casi come questi lo stile è importante. Che poi la stessa maggioranza non trovi il bandolo sulla Rai, è cosa inevitabile. La Rai è la greppia dei partiti, quanto mai indispensabile con l’avvenuta militarizzazione di Mediaset e de La Sette. Il servizio pubblico scordiamocelo e nemmeno vale più la pena polemizzare, come partito abbiamo iniziato a polemizzare nel 1986. Per ripristinare un servizio pubblico degno di questo nome servirebbe una riforma dell’intero sistema radiotelevisivo e verrebbe da rimpiangere quei pretori che volevano oscurare Berlusconi. Vista la situazione come si è evoluta ormai è inutile persino discuterne, mentre Lega e Forza Italia litigano su un aspetto veramente secondario, il canone. Se tagli il canone, cosa giustissima per carità a fronte della programmazione offerta, la Rai crolla ed il contraccolpo non sarebbe per l’informazione ma per i partiti che ci campano sopra.
Se la Lega vuole riprendere la strada perduta del liberalismo e Forza Italia non trasformarsi semplicemente in una centrale di controllo mediatico, inizino a proporre dei piccoli cambiamenti aziendali. Sarebbe allora già una grande cosa fare quello che pure qualunque paese occidentale fa, un solo telegiornale pubblico, accorpando le tre redazioni. Sembra niente e invece sarebbe un’impresa quando si dovrebbe dismettere le tre reti, altra follia. La Rai potrebbe mantenere un solo cannale pubblico di informazione pagato dal canone e tutto il resto del baraccone, l’intrattenimento, affidarlo al mercato. Sarebbe poi interessante sapere quanti film d’autore possegga ancora, mai li avessero ceduti quasi tutti. Ai suoi eroici albori la Rai allestì un’incredibile spettacolo a puntate trasmesso dal Piccolo di Milano che tenne avvinghiati allo schermo milioni di telespettatori per mesi. Disgraziatamente anche Togliatti a cui piacque molto e tutto felice il segretario comunista ne fece l’elogio. Al che qualche funzionario pensò bene di distruggere la pellicola originale.. Questa la storia della Televisione di Stato, persino più importante del fatto che sul voto alla nuova commissione europea, non c’è più la maggioranza. Tanto che viene da chiedersi cosa pensi l’onorevole Meloni di poter continuare a fare a Palazzo Chigi in tali condizioni.
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