Era giusto il luglio del 1932 quando Hans Fallada descriveva le angustie del contabile Johannes Pinneberg alle prese con gli effetti della grande crisi che aveva investito l’Europa. Kleiner Mann- was nun?, edito subito in italiano con E adesso, pover’uomo?, descriveva l’illusione di una vita felice presto ridotta in rovina. Non che Giuseppe Conte ricordi il buon Pinneberg, eppure badate che il percorso intrapreso non è molto migliore di quello del contabile in disgrazia. Entrambi hanno capi esigentissimi, Pinneberg, Spanfuss, Conte, Grillo, sempre pronti ad annotare ogni ritardo. Poi certo Conte ha qualità politiche ed intellettuali che l’ impiegato berlinese ignorava completamente, tapino come lo ricordiamo. Tuttavia, i fasti di Palazzo Chigi, quando passava le giornate in televisione a spiegarci il significato della pasqua ebraica o in quanti passare le feste, sono oramai lontani. Anch’egli come un qualsiasi Pinneberg inizia a confrontarsi con gli ostacoli e gli imprevisti che cospargono la strada degli individui insignificanti. Pensiamo anche solo alla riforma costituzionale voluta dal movimento 5 stelle sul taglio dei parlamentari, un trionfo che sembra ribaltato in uno schianto.
È anche grazie alla riforma che le possibilità di rielezione per i trecento ed oltre deputati e senatori del movimento 5 stelle, sono ridotte in modo tale che per riconfermarli tutte occorrerebbe conquistare almeno il 40 per cento dei consensi e forse nemmeno basterebbe. In ogni caso le stime di voto per il movimento sono ridotte al 12 per cento. Ghisleri ha persino previsto gli eletti nel proporzionale, 50, 55 deputati. Chiamasi bagno di sangue, peggio del licenziamento di Pinneberg con moglie e prole a carico.
Davanti ad una simile decurtazione, si capisce che molti onesti parlamentari vogliano ampliare il range di possibilità di cui dispongono. Questo significa puntare su un accordo di coalizione nell’uninominale e non complicare i rapporti con il Pd che pure ha i suoi problemi.
Nel resto del mondo dei parlamentari 5 stelle domina, invece, la rassegnazione o la collera. Se Pinneberg non riusciva più a far quadrare le spese di casa, Conte non riesce a gestire un gruppo tanto disomogeneo. Questo si è disfatto con la defezione di Di Maio e pazienza ma è prossimo a frantumarsi ancora fra chi ritiene indispensabile restare al governo e chi invece rimpiange la primigenia opposizione e quindi un altro leader, più adatto ad un simile ruolo, tipo Di Battista.
Ecco il dramma del pover’uomo Conte, che ricalca le orme del piccolo Pinneberg. Nel caso voglia ricucire con Draghi, sia abbia perso definitivamente la testa e voglia rompere, Conte rischia una terza scissione fra governisti e barricadieri. Entrambe le fazioni sono state vellicate nei loro istinti tribali.
Situazione che tutto sommato potrebbe consentire a Draghi, certo non un Pinneberg, una certa tranquillità per continuare ad operare, quale sia la formula politica scelta. Piuttosto bisognerà chiedersi allora cosa ne sarà del povero Conte. Nel tentativo piuttosto vano di far cadere il governo, rischia di essere proprio lui il primo ad essere sacrificato, l’avvocato foggiano. Il mancato invito alla festa nazionale dell’Unità, va letto come un brutto segno, tipo la lettera di licenziamento di Pinneberg.
Se poi qualcuno non si ricorda come si sono concluse le avventure di Pinneberg, Fallada aveva abbastanza una vita disgraziata da fronteggiare per risparmiarsi un lieto fine. Il piccolo Pinneberg sarà salvato dall’amore nella vita privata. Fallada ancora credeva di poter resistere al nazismo. Noi siamo più fortunati. Supereremo presto il contismo.