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I garanti della Costituzione repubblicana e il centrodestra

Riccardo Bruno di Riccardo Bruno
25 Luglio 2022
in L'editoriale
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I garanti della Costituzione repubblicana sono soltanto i partiti che l’hanno sottoscritta, se vengono a mancare quei partiti, si disperde anche la costituzione. I principi della Costituzione statunitense, varata nel 1787 sono ancora intangibili perché i partiti nel nord America sono nati tutti  dall’interpretazione di quella Costituzione. La costituzione italiana, varata nel 1948 da partiti di cui ci si è voluti sbarazzare è posta nelle mani del buon Dio.

Non si capirebbe altrimenti come sia stato possibile che nel linguaggio politico comune si sia adottata la parola “premier”, quando la nostra carta costituzionale presume una carica affatto diversa, quale quella del presidente del Consiglio. Il primo ministro esiste in Inghilterra dove per convenzione consolidata il leader del partito di maggioranza relativa forma e guida il governo. In Italia il Capo dello Stato indica un presidente del consiglio alle Camere su base esclusivamente parlamentare. Non abbiamo un “primo ministro” all’inglese ma un primo inter pares, alla romana, tanto è vero che il Consiglio dei ministri è “costituito insieme” articolo 92 dal presidente del consiglio e dai ministri esattamente come nella repubblica di Roma si intendeva il mandato del primo console. Appena il primo console pretese di essere anche tale, a Roma scoppiò la guerra civile.

Quando il centro destra italiano presentò sulle schede elettorali del 2001 il nome del presidente del Consiglio, compì una smaccata forzatura costituzionale. Si suggeriva l’idea che il capo del governo venisse eletto direttamente dal popolo.  Di fatto il ruolo consultivo del Capo dello Stato ne venne sminuito, perché il presidente della Repubblica si trovava le mani legate, tanto è vero che nelle riforme costituzionali elaborate sia dal centrodestra che poi dal centrosinistra, si era d’ accordo  nel fare del capo dello Stato, una specie di alto notabile, di cui pure nessuno sentiva particolare bisogno. C’era quel genio di Bersani che diceva di volere il governo in carica la notte delle elezioni. Il capo dello Stato nella Costituzione vigente rappresenta l’unità nazionale e se non può esercitare le prerogative politiche insite in questa sua carica, diventa completamente inutile.

Il centro destra e poi anche il centrosinistra si erano convinti per lo meno fino a quest’ultima legislatura che il Capo dello Stato dovesse essere figura di contorno.

Non è per motivi di sospirato riordinamento costituzionale che il centrodestra in queste prossime elezioni rinuncerà alla sua bandiera sempre sventolata di esprimere il nome del presidente del consiglio sulle schede elettorali. Questo dipende dalla difficoltà di dare alla nazione un nome successivo a quello di Draghi. Un problema che avranno anche durante tutta la campagna elettorale e poi soprattutto nel caso in cui dovessero effettivamente formare un governo. Pensate quali sarebbero i commenti internazionali sulla reputazione dell’Italia passata da un Draghi a un Tajani. Già abbiamo visto i commenti sul nome di Meloni, che pure è un leader politico autentico del suo partito, quando Tajani è solo un dirigente.

È un problema questo molto più serio di quanto si possa credere. Il centrodestra ha abituato per anni il suo elettorato ad un leader certo fin dal primo momento della campagna elettorale.  Adesso vi rinuncia perché privo di un candidato all’altezza. E non è nemmeno il peggio. Il peggio è che il candidato all’altezza di guidare il governo, il centrodestra, lo ha già giubilato.

Tags: centrodestraleader
Riccardo Bruno

Riccardo Bruno

Riccardo Bruno si è laureato in Storia della Filosofia presso l'Università di Roma La Sapienza nel 1988. Dal 1987 al 1989 collabora all'Ufficio esteri del PRI diretto dall'onorevole Vittorio Olcese. Dal 1994 è capo ufficio stampa del PRI, dal 1995 giornalista professionista iscritto alla stampa parlamentare. Nel 1999 è capo redattore de La Voce Repubblicana. È stato poi editorialista per il Foglio di Giuliano Ferrara e l'Indipendente di Vittorio Feltri. Dal 2019 è prima vice direttore de La Voce Repubblicana e poi direttore politico

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