Avrà il suo bel daffare il nuovo ministro della Giustizia Carlo Nordio per condurre in porto una riforma della giustizia urgente come non mai, anche se le esigenze dell’amministrazione della giustizia vengono messe in secondo piano dalle urgenze energetiche e pandemiche. Ma noi non dubitiamo che ce la possa fare, anche perché non gli mancano né la conoscenza della materia, né le competenze, e neppure l’imponenza fisica che pure incute rispetto.
La magistratura, pur così compatta quando si tratta di contrastare chi vuole mettere un po’ d’ordine, per esempio separando le carriere dei pubblici ministeri e dei giudici, tema caro non solo a Silvio Berlusconi, è divisa in correnti che, più o meno, ricalcano le divisioni partitiche, da Magistratura democratica (oggi Area) a Magistratura indipendente. Sembrava che nel 2020, quando scoppiò il caso di Luca Palamara, il membro del Consiglio superiore della magistratura che aveva messo in piedi un efficiente sistema di clientele per governare le carriere dei magistrati ‘amici’, finalmente qualcosa si sarebbe messo a posto. E invece no, tutto continua come prima. E, sostanzialmente, tutto passa sotto silenzio, o quasi. Come la vicenda del procuratore generale dell’Aquila Alessandro Mancini, ravennate, trasferito pochi giorni fa dal Consiglio superiore della magistratura per incompatibilità ambientale. Cosa avrebbe fatto di grave all’Aquila e in Abruzzo per essere incompatibile con l’ambiente locale? Nulla, che si sappia, ma non avrebbe più i requisiti per esercitare le sue funzioni “in piena indipendenza e imparzialità”. Infatti il problema è a monte: per ottenere quel posto Mancini si sarebbe affidato alle raccomandazioni di Gianluca Pini, imprenditore con interessi soprattutto nel Ravennate e nel Forlivese, fino al 2018 parlamentare della Lega Nord (per tre legislature) che Matteo Salvini ha messo da parte, soppiantato nella guida della Romagna leghista da Jacopo Morrone. Pini è indagato dalla Procura della Repubblica di Forlì per una fornitura con affidamento diretto da sei milioni di euro di mascherine cinesi all’Ausl Romagna all’inizio della pandemia, inchiesta ancora nella fase delle indagini preliminari. Alessandro Mancini dopo essere stato sostituto procuratore (e procuratore facente funzioni) a Forlì dal 1996 al 2013, è poi stato procuratore a Ravenna, e quindi è diventato procuratore generale all’Aquila. Per ottenere questa nomina (prestigiosa, ma scomoda perché lontana a Ravenna, come ha specificato per difendersi davanti al Consiglio superiore della magistratura) Mancini si sarebbe affidato a Pini e a Cosimo Maria Ferri, magistrato fuori ruolo passato alla politica attiva (è stato parlamentare e sottosegretario alla Giustizia nei governi guidati da Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni), uno dei protagonisti del ‘caso Palamara’. I messaggi tra Mancini e Pini recuperati dal telefonino di quest’ultimo vanno dal gennaio 2019 al dicembre 2029. L’obbiettivo di Mancini (ha due fratelli, Marco che faceva parte dei servizi segreti, e Dario, un lungo curriculum da direttore di banche) era la procura di Bologna, o forse quella di Milano, per cui la procura generale dell’Aquila poteva essere un trampolino di lancio.
Sulla proposta di trasferimento per incompatibilità ambientale di Alessandro Mancini il plenum del Consiglio Superiore della Magistratura si è spaccato: 11 voti a favore del trasferimento, 8 contrari e 3 astenuti. Mancini pare si sia fidato di qualcuno che gli aveva assicurato la bocciatura della proposta di trasferimento, altrimenti avrebbe chiesto l’assegnazione ad altra sede anticipando la conclusione del procedimento ed evitando una nota nel curriculum che ne comprometterà la carriera. L’anticipazione del giudizio è la strada che un anno fa ha seguito Filippo Santangelo, sostituto procuratore per molti anni a Forlì, anche lui in rapporti con Gianluca Pini, Cosimo Ferri e Luca Palamara con l’obbiettivo di avere appoggi per la carriera giudiziaria: in vista del giudizio ha chiesto e ottenuto il trasferimento alla procura presso il tribunale per i minorenni di Bologna, ottenendo dal Csm l’archiviazione del procedimento aperto nei suoi confronti. Un privilegio, quello dell’estinzione del procedimento disciplinare attraverso la richiesta di trasferimento, che hanno solo i magistrati.
Altri magistrati che pure trescavano con Gianluca Pini e attraverso di lui con altri personaggi della magistratura e della politica, se la sono cavata senza essere messi sotto accusa: tra questi Giuseppe Amato, procuratore della Repubblica di Bologna, e Maria Teresa Cameli, procuratore di Forlì che dovrebbe andare in pensione a fine anno.
Questi rapporti assai poco edificanti di magistrati alla ricerca di appoggi per la carriera sono emersi dalle chat di Whatsapp trovate nel telefonino di Gianluca Pini, fatto sequestrare nell’aprile 2021 dal sostituto procuratore di Forlì Laura Brunelli nell’ambito dell’inchiesta, tuttora in fase di indagini preliminari, sulle mascherine compravendute dalla ditta Codice di Gianluca Pini (commercia all’ingrosso in bevande e generi alimentari) con sede a Fusignano, in provincia di Ravenna. A farla nascere era stato un esposto presentato nel novembre 2020 dalla lista civica Pigna per Ravenna, dopo che richieste di chiarimenti all’Ausl della Romagna non avevano avuto risposte soddisfacenti. Quando ha preso visione del contenuto delle chat di Whatsapp del telefono cellulare di Gianluca Pini, la sostituta procuratrice di Forlì Laura Brunelli ha informato la procura generale di Bologna, che a sua volta ha girato tutto al Consiglio superiore della magistratura.