Il computer dei misteri è una vecchia macchina degli anni settanta, un Bull Italia della Honeywell Dp6. Sotto sequestro e piantonato giorno e notte dai carabinieri fino alla perizia di un esperto della Procura. Il Pm di Palmi ha appena dichiarato guerra alla Massoneria. Vuole gli elenchi degli iscritti di Calabria e Lazio. E fin qui. Gli impiegati del Grande Oriente d’Italia cominciano a fotocopiare le schede anagrafiche. Una cosa che non piace al maresciallo Davi, che guida la perquisizione. Lui vuole gli elenchi di tutti gli iscritti, anche se non c’è scritto nel decreto del magistrato. Nel computer, questo pensano lì per lì, ci sono nascoste altre informazioni.
Parte così l’ennesima caccia alle streghe. A favore di stampa. Uno “scenario raccapricciante” secondo Francobaldo Chiocci de Il Tempo. In prima fila nell’accusa è Repubblica, diretta da Eugenio Scalfari, figlio e nipote di massoni noti e stimati nella nativa terra di Calabria. Ed Avvenire. Gli elenchi alla fine vengono consegnati. «Ancora oggi in rete si trovano gli elenchi sequestrati», racconta Stefano Bisi (Gran Maestro del GOI) ne Il biennio nero: 1992-93 (Perugia libri) e quelle liste sono diventate liste di proscrizione». «A Perugia», racconta il sindaco Mario Valentini, «negli angoli delle vie, negli ingressi degli uffici e delle istituzioni, dove lavorava un massone, venivano affissi manifesti e volantini, incitando direttamente o indirettamente a discriminare il lavoratore massone, il magistrato massone, l’avvocato o il professore massone. Alcuni pubblici ufficiali vennero trasferiti in altre sedi con provvedimenti persecutori. In più regioni ci furono tentativi di approvare leggi chiaramente discriminatorie, degne dei regimi più abbietti che la storia abbia mai conosciuto. L’obiettivo era quello di discriminare il massone, quasi a volerlo catalogare come cittadino di serie inferiore”.
Tutto si conclude con una richiesta di archiviazione. «Da uno sguardo d’insieme del poderoso materiale acquisito e raccolto in circa 800 faldoni – scrive il Gip Iannini – e in un numero imprecisato di scatoloni contenente materiale sequestrato, si può trarre la certezza che è stata compiuta, in tutto il territorio nazionale, una massiccia e generalizzata attività di perquisizione e sequestro che le iniziali dichiarazioni del notaio Pietro Marrapodi, certamente non consentivano, quanto meno a livello nazionale. Da questi racconti, a contenuto generalissimo, ma conformi all’immaginario collettivo sul tema gruppi di potere, il pm di Palmi ha tratto lo spunto per acquisire una massa enorme di dati (prevalentemente elenchi di massoni) che poi è stata informatizzata e che costituisce una vera e propria banca dati sulla cui utilizzazione è fondato avanzare dubbi di legittimità».
Una caccia alle streghe. Così la definì il Grande Oriente d’Italia su Il Dubbio. Una definizione che non piacque a Cordova, che nel 2017 riparte all’attacco querelando la Massoneria per diffamazione. Un’altra sconfitta del Pm, visto che quattro anni dopo il giudice Emanuela Tagliamonte del Tribunale civile di Reggio Calabria ha stabilito che “non sussiste la denunciata diffamazione in quanto il contenuto dell’articolo è sostanzialmente veritiero, il linguaggio mai sconveniente, offensivo o pesantemente allusivo e infine la notizia riportata e la complessiva ricostruzione della vicenda giudiziaria è certamente di pubblico interesse”. I “toni forti”, secondo il magistrato, raccontano comunque fatti veri. Cioè brava gente messa alla berlina, con nomi e cognomi sui giornali, in assenza di reati. E un Pubblico Ministero che non ha mai nemmeno chiesto scusa.