Marco Nese ha fatto tante interviste. Anche al Corriere della Sera per cui ha scritto per anni. Ma solitamente le interviste le si fa ai vivi. Non ai morti. Come fai ad avere risposte da chi ha lasciato questo mondo? Dipende, dice Nese in questa deliziosa pubblicazione curata da Antonio de Martini e dedicata a Randolfo Pacciardi nel trentesimo anniversario della scomparsa. Puoi per esempio scorrere atti parlamentari, interviste. Ma devi avere lo Spirito dell’uomo. Il gioco cioè può funzionare solo se “di lui sono rimaste parole chiare che rivelino senso morale, pensiero cristallino e una fede mai tradita”.
Un’idea di patria alta e nobile che parte almeno dall’esperienza mazziniana della Repubblica romana del 1849. «Dopo pochi mesi che la bandiera tricolore era salita al Campidoglio, i repubblicani italiani ebbero una pugnalata alla schiena: i soldati della repubblica francese, affiancati da altri tre eserciti invasori, imposero di ammainarla. In quei pochi mesi il governo repubblicano di Roma disegnò una Costituzione, sotto il tiro dei fucili e lo schianto delle bombarde, che resta un monumento di sapienza civile. Il governo repubblicano decretò l’autonomia più completa per i Comuni, riformò la giustizia, sopprimendo in particolare il Tribunale del Sant’Uffizio e istituendo i giurati per i giudizi penali; rese libero l’insegnamento, abolendo tutte le tasse scolastiche, comprese quelle per conseguire i più alti titoli accademici, creò una banca di Stato, che doveva promuovere l’agricoltura e il commerciale terre demaniali in lotti enfiteutici redimibili da assegnare alle famiglie dei più poveri coltivatori. E stabilì il principio supremo che tutti hanno diritto alla casa». Un insegnamento per i posteri. «Sicuro. A Sant’Elena […] Napoleone, si vantava di aver dato alla Francia il gusto eterno della gloria. Ma non della gloria mendace, delle guerre, delle conquiste, della potenza, degli imperi. La gloria bensì delle libere istituzioni civili, delle competizioni nell’arte e nella scienza, nei commerci e nel lavoro, nelle missioni e nelle iniziative». Il cuore della tradizione repubblicana è la questione sociale. «Il Cristianesimo ci aveva proclamato figli di un solo Dio, tutti fratelli, tutti uguali. Ma in cielo, non in terra. Una rivoluzione spirituale che rovesciando dai loro marmi gli dei pagani ci disse tutti figli di un solo dio, cioè tutti fratelli, tutti uguali, e così furono gettate le basi della società democratica. Il Rinascimento italiano aveva riportato sulla terra il senso della dignità umana. Le rivoluzioni politiche inglese, americana, francese avevano proclamato i diritti dell’uomo, diritti politici, diritti giuridici. Ma se noi pensiamo che non si può conciliare la libertà con la monarchia pensiamo anche che non si può conciliare la libertà con la fame. Questo è il senso della rivoluzione sociale».
Una rivoluzione sociale a cui il marxismo e la rivoluzione sovietica non ha risposto. Il marxismo, ricordava Mazzini, ha una visione di divisioni in classi che non è compatibile con uno Stato inteso come “supremo regolatore della convivenza di tutti”. E quello sovietico è un regime spietato. «Criminale. Su chi aspira alla libertà, l’Unione sovietica si abbatte col peso bruto e schiacciante della sua forza militare». E anche questo aveva previsto Mazzini:«Avrete la più tremenda tirannide che l’uomo possa ideare sulla terra», scrisse nel 1849. «Tirannide. Come nella fredda, arida, imperfetta teorica degli economisti, l’uomo non è che nel comunismo che una macchina per la produzione. La sua libertà, la sua responsabilità, il suo merito individuale, l’incessante aspirazione che lo sprona a nuovi modi di progresso di vita svaniscono interamente. Una società pietrificata nelle forme, regolata in ogni particolare non ha luogo per l’io. L’uomo nell’ordinamento comunista diventa una cifra, un numero primo, secondo, terzo, decreta un’esistenza di convento monastico senza fede religiosa, il servaggio dell’evo medio senza speranza di riscatto».
L’uomo che ha abbandonato questo mondo chiude con il tema a lui più caro: la Repubblica Presidenziale. È il popolo a dover eleggere il Presidente. Il capo dello Stato nomina il governo scelto fuori dal parlamento, e se composto da parlamentari, essi si devono dimettere dalla loro carica. «La Camera è eletta a suffragio universale, ma il numero dei rappresentanti del popolo dev’essere ridotto. Il Senato dovrà essere composto da rappresentanti della cultura, della tecnica, delle forze di produzioni e sindaci». Così perderebbero importanza le clientele politiche che sono penetrate all’interno dell’apparato democratico. Il male più evidente della partitocrazia.
Ottimo, interessante l articolo di Cascio su Pacciardi. Il libro lo comprero’.