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Il dibattito surreale sull’antifascismo che ci aspetta

Riccardo Bruno di Riccardo Bruno
8 Aprile 2023
in L'editoriale
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La fondamentale differenza fra un regime democratico ed una tirannia è semplicemente dettata dal concetto di pluralità. Nella prima metà del ‘700 Rousseau fece scandalo perché appunto introdusse l’idea di una “sovranità plurale” nel Saggio sull’origine della diseguaglianza. Rispetto a pensatori che volevano il potere concentrato tutto in un solo individuo, come Hobbes o Grotius, ma anche al liberale Locke, Rousseau apriva una prospettiva del pensiero politico rivoluzionaria, ovvero quella democratica. L’unico esempio conosciuto nella storia e brevemente, fu a Roma quando si cacciarono i Tarquini, perché poi la Repubblica romana si preoccupò come avvenne nella antiche repubbliche greche, di porre un limite alla sovranità popolare fino a prevedere la dittatura. La dittatura rappresenta nell’antichità un problema che devono saper affrontare anche i contemporanei. La dittatura individuale non è necessariamente antidemocratica, ovvero avversa alla pluralità. Al contrario, la stessa forma repubblicana le si affidava nel momento nel quale si sentiva minacciata. Tuttavia la dittatura comporta il rischio per cui il dittatore non abbia nessuna disponibilità a revocare il suo mandato. Questa fu l’accusa rivolta a Cesare, che voleva farsi re, una accusa che ritorna più volte nella rivoluzione francese. La sovranità plurale prevede un esercizio del potere articolato e complesso e diffida del dittatore, temendo un usurpatore. Cosa distingue le due figure? Solo il contratto sociale, in Repubblica nessun individuo può detenere il potere fuori dal mandato che gli viene assegnato dalle assemblee e per il tempo stabilito. Mazzini che si trovò in Francia poco prima della seconda Rivoluzione, quella del 1830, ebbe modo di discutere di questi problemi con il vecchio sanculotto Buonarroti, aggiungendo un ulteriore elemento di riflessione, quello relativo alla personalità del presunto dittatore. Ad esempio, il generale Washington che vinta la guerra di indipendenza assunse di fatto una funzione dittatoriale rispondeva sempre e comunque al parlamento e desiderava essere licenziato per tornarsene a casa, come fece Cincinnato. Bisognava sequestrarlo per tenerlo alla Casa Bianca, Washington.

Il grande filosofo tedesco Immanuel Kant fu il primo a sottolineare come i vantaggi della democrazia potessero comunque comportare una minaccia. Una pluralità che schiaccia gli individui, la folla che disperde il governo. La costituzione della prima Repubblica francese fu suggerita da Kant e fu sospesa causa la guerra. Quando venne applicata brevemente nel 1795, e poi riprodotta a Weimar nel 1919 e in Spagna nel 1931, rimase il modello su cui si misura la democrazia repubblicana, la Repubblica democratica. Questa assicura sempre e comunque la libertà di pensiero. La differenza fondamentale fra repubblica democratica e tirannia è posta da fatto che la repubblica democratica limita la libertà personale mai il tuo pensiero. Solo la tirannia presuppone di uniformare con i costumi anche il pensiero. Desmouilns scriveva che se la Russia avesse avuto la libertà di stampa, lo zar sarebbe stato rovesciato in un mese.

La Repubblica italiana nata nel 1948 si è complicata molte le cose. Vista la giustizia sommaria con cui si concluse la guerra civile, il governo del Cln promosse un’immediata amnistia già nel 1946. Poteva essere la Costituente più severa del governo del Cln? In pratica venne fissata una sola deroga all’articolo 48 sul diritto di voto ai responsabili del regime fascista e per una durata di soli 5 anni. Nessuno imponeva loro di rinnegare alcunché. La Repubblica antifascista proibiva la ricostruzione del partito fascista, non di avere sentimenti fascisti. È lo stesso modello costituzionale esistente negli Stati Uniti d’America. Nessuno ti impedisce di essere razzista, se vai alla sedia elettrica è perché ha ucciso un nero, non perché sei membro del Clan. In Italia nemmeno c’è la pena di morte, c’è il recupero alla società, tanto che un dichiarato fascista quale Angelo Izzo, mandato in permesso dal carcere, uccide di nuovo. Non esiste nemmeno una legislazione antinegazionista in Italia, e per il reato di apologia di fascismo non conosciamo nessun caso portato in tribunale. I neo fascisti che hanno assalito la sede della Cgil a Roma due anni fa, hanno dovuto compiere un’azione violenta per essere arrestati, la manifestazione dal palco di piazza del Popolo della loro ideologia, non era sufficiente e si trattava di personaggi già noti agli uffici di polizia.

Il dibattito della Sette fra Sgarbi e Formigli di due sere fa è apparso surreale. Formigli che chiede a Sgarbi perché la Meloni non si dice antifascista e quello che gli risponde perché il fascismo non c’è. La Meloni non è antifascista, perché mai dovrebbe esserlo? Giurare sulla costituzione repubblicana non impone l’antifascismo, impone il rispetto delle norme costituzionali, PER QUESTO MOTIVO SI GIURA, quelle sono antifasciste, tanto che un mai pentito repubblichino di Salò come Mirko Tremaglia fece il ministro e nessuno gli chiedeva a Tremaglia di essere antifascista, gli si chiedeva di rispettare la costituzione. Lo stesso bisogna chiedere di fare al governo, indipendentemente dai suoi sentimenti, le sue convinzioni e le sue interpretazioni della storia, affari loro per prerogativa costituzionale. Nel momento nel quale si ritenesse minacciato il rispetto della costituzione, allora ci sarebbe un problema autentico di antifascismo ed il primo a denunciarlo e a porre una questione delle dimissioni del governo, possiamo esserne sicuri sarebbe proprio l’onorevole Sgarbi.

Foto CCO

Tags: FormiglisGARBI
Riccardo Bruno

Riccardo Bruno

Riccardo Bruno si è laureato in Storia della Filosofia presso l'Università di Roma La Sapienza nel 1988. Dal 1987 al 1989 collabora all'Ufficio esteri del PRI diretto dall'onorevole Vittorio Olcese. Dal 1994 è capo ufficio stampa del PRI, dal 1995 giornalista professionista iscritto alla stampa parlamentare. Nel 1999 è capo redattore de La Voce Repubblicana. È stato poi editorialista per il Foglio di Giuliano Ferrara e l'Indipendente di Vittorio Feltri. Dal 2019 è prima vice direttore de La Voce Repubblicana e poi direttore politico

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