Nei precedenti articoli abbiamo descritto la compagnia privata militare Wagner tracciandone un profilo storico; abbiamo inoltre delineato il vasto reticolo di poteri che la supportano, nel quale si ritrovano realtà dell’oligarchia russa ed oscuri ambiti del deep state federale; abbiamo infine illustrato i principali scenari nei quali il Gruppo è attivo.
Nell’ultima parte dell’inchiesta racconteremo invece come la Russia, grazie alla Wagner, riesca ad infiltrarsi in alcuni spazi lasciati vuoti dall’Occidente e quali conseguenze ciò potrebbe comportare per la sicurezza dell’Europa e, conseguentemente, dell’Italia.
L’ampia varietà di missioni complementari, che il gruppo Wagner svolge all’estero, permette al Cremlino di affermare il proprio status e la propria influenza: la compagnia privata di fatto si trova al servizio delle ambizioni geopolitiche russe, permettendo così allo stesso Cremlino di alterare alcuni equilibri di potere esteri, riuscendo comunque a mantenere una posizione formale di non ingerenza, la c.d. plausible deniability.
Le società russe che forniscono servizi militari privati, così come quelle che si occupano di energia, sicurezza, logistica ed informazione, costituiscono un veicolo per espandere l’influenza commerciale ed economica russa nei vari paesi, in particolare quelli in via di sviluppo, generando flussi di reddito mediante il petrolio, il gas e le estrazioni di minerali. Tra i compiti loro assegnati, le Private military company annoverano anche il reclutamento di risorse umane per gli eserciti del Paese ospitante come pure azioni di sabotaggio ed intelligence, oltre a garantire un supporto alle forze di sicurezza locali, fornendo ad esempio le guardie del corpo dei presidenti (es. Repubblica Centrafricana). I soldati fantasma offrono anche protezione alle infrastrutture energetiche ed ai siti minerari, snodi strategici per le società russe che li utilizzano anche per promuovere l’immagine della super potenza a livello mondiale. Di fatto, come dichiarato dall’analista russo Peter Kaznacheev, “qualsiasi cosa abbia a che fare con il Nord Africa ed il Medio Oriente è strategico. Prendersi uno spazio in Libia, attraverso Khalifa Haftar o la National oil company libica o la produzione di petrolio, può rendere la Russia essenziale in Libia senza doversi sporcare le mani, come ha dovuto fare in Siria”. L’ampiezza geografica ed operativa di utilizzo è il focus per capire quale sia l’effettiva utilità del Wagner Group all’interno del ventaglio di possibilità a disposizione di Putin e dei suoi oligarchi per proiettare influenza nelle aree considerate prioritarie. Tale flessibilità d’impiego, che ben si coniuga con le maglie larghe e permissive in cui possono operare le compagnie private russe (le quali si pongono ai margini dell’ordinamento internazionale evitando di sottoscrivere l’Icoc, un codice di condotta per le aziende del settore), trova terreno fertile soprattutto in quei paesi caratterizzati da scarsa presenza, sia militare che politica, di altri attori internazionali di rilievo. Attualmente i wagneriani stanno ottenendo risultati strategici in Libia, Mali, Mauritania, Repubblica Centrafricana e altre zone del Sahel. Consolidare, ad esempio, la presenza dei contractor militari in Libia permette di realizzare un corridoio verso la sponda sud del Mediterraneo, lungo il fronte meridionale della Nato. L’interferenza di Mosca in Libia, Mali e nelle altre zone del Sahel, sia dal punto di vista politico, militare che cibernetico, è riuscita di fatto anche grazie ai vuoti di potere che si sono creati nel corso degli ultimi anni. La guerra scatenata in Ucraina, inoltre, ha accresciuto la dinamica di polarizzazione del sistema internazionale, accentuandone le tendenze già in atto.
Tale dinamica si riflette soprattutto nei Paesi dell’Africa settentrionale, dove la Russia già da tempo sta raccogliendo risultati significativi: Putin da anni lavora nei territori esteri contigui al blocco Nato, in particolare Algeria e Libia, per aggirare l’Alleanza atlantica dal fronte meridionale. Questa tattica complica i nostri interessi, considerando soprattutto che l’Italia sta cercando di smarcarsi dall’approvvigionamento energetico russo. Emblematica, in tal senso, è la traiettoria dell’Algeria che permette di comprendere come la Russia abbia intessuto negli anni dei rapporti tali da influire nel contesto nordafricano e mediorientale. La relazione Mosca-Algeri risale al lontano 1962, anno della sua indipendenza seguita ad una lunga guerra con la Francia. I due attori nel corso degli anni hanno allentato i rapporti fino ad un riavvicinamento siglato nel 2001 attraverso un Partenariato Strategico nei settori militare, dell’intelligence, energetico, scientifico, culturale, commerciale, del traffico aereo e del trasporto marittimo. Tale accordo è poi stato rinnovato nel 2006, in occasione della visita di Putin in Algeria che ha portato all’azzeramento del debito da 4,7 miliardi di dollari che Algeri aveva contratto con l’ex Unione Sovietica. In cambio l’Algeria ha affidato alla Russia l’approvvigionamento delle armi per il suo esercito e la modernizzazione di tutto il suo apparato militare. Nel frattempo, all’instabilità geopolitica dell’Algeria si erano aggiunte le difficili relazioni con il Marocco, mentre il confine tra Libia ed Algeria diventava poroso, trasformandosi in una zona di facile attraversamento per i jihadisti, che hanno iniziato ad ostacolare Algeri nel controllo della zona sahariana. A livello sistemico la crisi generata dalle Primavere Arabe di Tunisia e Libia aveva invece portato ad un allontanamento di Algeri dalle posizioni dei paesi occidentali, tendenti ad interferire pesantemente in Nord-Africa e ad un ulteriore avvicinamento alla postura della Federazione russa, anch’essa molta sospettosa e guardinga nei confronti delle c.d. “rivoluzioni colorate”, al cui modello possono parzialmente ricondursi le Primavere arabe.
Tutto ciò ha quindi portato l’Algeria a riconsiderare i suoi assetti strategici e ad incrementare la spesa militare da 5 a 9 miliardi di dollari, facendola diventare il terzo importatore di armi russo, dopo Pechino e New Delhi. Le forniture russe, tra le quali si annoverano aerei da combattimento, elicotteri, sistemi missilistici e carri armati coprono attualmente il 66% dell’import algerino da Mosca; vi è inoltre la totale dipendenza della Marina militare di Algeri dalle forniture russe, tant’è che nel gennaio 2019 sono stati commissionati due sottomarini di classe Kilo Project 636 durante una solenne cerimonia presso la base navale di Mers el Kebir, nei pressi di Orano. Anche durante la ricandidatura del presidente Bouteflika la Russia ha scelto di non esporsi politicamente, puntando così ad una cooperazione a lungo termine con il Paese nordafricano: ne deriva un rapporto solido e di lunga durata che ha recato notevoli benefici soprattutto alla Russia, in cerca di alleati nel bacino del Mediterraneo. Il solido legame tra i due attori, pertanto, non riguarda solo il campo militare ma si riverbera anche nel campo energetico: le principali società energetiche russe, Gazprom e Transneft, collaborano con la società algerina statale di idrocarburi, Sonatrach, a diversi progetti per la costruzione di oleodotti. Collaborazione, quest’ultima, che dovrebbe preoccupare particolarmente l’Italia che sta cercando di svincolarsi dalla dipendenza energetica russa guardando verso il continente africano.
La situazione geopolitica attuale potrebbe trasformare l’Algeria in uno dei principali player nel settore energetico, attraverso lo sfruttamento del gasdotto Transmed: si stima infatti che dall’Algeria e dalla Libia nel prossimo triennio potrebbero arrivare dai 9 agli 11 miliardi di metri cubi grazie a questo gasdotto che dalle coste algerine approda in Sicilia.
Altre dinamiche, stavolta relative alle politiche marittime, dovrebbero allertare il nostro Paese, in virtù del progetto di legge per la ZEE (Zone Economica Esclusiva) algerina, considerando che quest’ultima, istituita nel 2018, si estende fino allo spazio di mare posto a nord-ovest del Golfo di Oristano, vicino alle acque territoriali di Sant’Antioco, Carloforte, Portovesme, Bosa ed Alghero. L’espansione della ZEE e la potenziale proiezione militare e commerciale algerina nel Mediterraneo occidentale ci riguarda da molto vicino, sia dal punto di vista economico che della sicurezza nazionale, e dovrebbe far accendere qualche spia nella stanza dei bottoni. Risulterà pertanto fondamentale, per l’Italia, la rivalutazione della strategia mediterranea nazionale per porsi in allerta rispetto alle penetrazioni di attori divenuti rivali strategici per la Nato.
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