Cone non essere solidali con il ministro Giuli, che dovendo sostenere l’ultimo esame prima della laurea, ha dovuto recarsi all’Università alle otto del mattino per non essere oggetto di contestazione studentesca? Quali che possano essere i convincimenti politici del ministro, le sue frequentazioni passate e presenti, egli ha diritto come ogni cittadino allo studio. Ci mancherebbe solo che fosse una parte politica a decidere chi può presentarsi agli esami e chi no. Quindi è piuttosto inquietante che nelle Università dello Stato vi possano essere frange studentesche che sollevano simili argomenti. Anche negli anni degli scontri più duri, nessuno negava all’avversario politico il diritto di studiare e di laurearsi. L’istituzione era salva.
Il preside ed il corpo docenti si sono comunque preoccupati di assicurare che l’esame si sia svolto regolarmente e che il ministro fosse preparato. È stato persino comunicato il voto preso, trenta e quanto tempo sia stato necessario per comminarlo, si è discusso persino di questo. Non c’è regione alcuna per dubitare della completa correttezza dell’esame. Ci mancherebbe altro.
L’unica preoccupazione è semmai che non fosse stato così, ovvero se il corpo docenti, avesse dovuto, suo malgrado, constatare l’impreparazione del ministro. Ovvero se un ministro, non Giuli, ovviamente, si fosse presentato all’esame senza aver sufficientemente studiato, o magari distratto, Allora, come potremmo essere certi che i docenti non avessero avuto inevitabilmente un qualche occhio di riguardo? Nel caso si trattasse del ministro della Cultura, quale professore poteva azzardarsi di dire che andava bocciato? In un simile caso, Giuli, non avrebbe dovuto ripetere l’esame, ma dimettersi dal governo. Ed erano due.
Qualche giorno fa il maestro Riccardo Muti ha parlato di uno svuotamento del significato della cultura del paese e vai a capire cosa intendesse veramente dire un uomo della sua arte. Tutto sommato, il ministro della Cultura, avendo atteso per laurearsi quasi i 50 anni di età, avrebbe fatto meglio ad aspettare di lasciare il ministero per completare gli studi, oppure, di non accettare l’incarico. Si sarebbero evitati equivoci, magari, pettegolezzi inutili.
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