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Il paese che ha voltato le spalle alla Russia

Riccardo Bruno di Riccardo Bruno
15 Maggio 2023
in L'editoriale
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La Russia contava su due interlocutori affiatati in occidente, uno commerciale, la Germania, l’artefice dell’Ostpolitik dal tempo del cancelliere Willy Brandt, e uno culturale, l’Italia, il paese che aveva il più grande partito comunista mai esistito dall’altra parte della cortina di ferro. Putin dovrebbe riflettere sul fatto di essere riuscito nel capolavoro di alienarseli entrambi dal momento che in due soli giorni Zelensky è stato ricevuto con tutti gli onori a Roma e a Berlino, città dove il capo del Cremlino mai mettesse piede, sarebbe arrestato all’istante. L’amicizia italo-ucraina, è stata particolarmente inaspettata, viste le relazioni perduranti, mentre la Germania dell’est una volta riunificata, ha spostato di molto le simpatie tedesche nonostante Angela Merkel e Schroeder. Ancora il febbraio scorso l’anchorman della tv russa di Stato, Vladimir Solovyev, magnate e amico di Putin, se ne è sbottato in diretta televisiva, “chissà se a Milano si ricordano come baciavano le mani dei soldati russi”. Solovyev si riferiva a Suvarov che nel 1799 sconfisse i francesi e di fatto fu l’unico generale russo ad ottenere un successo, anche se di breve durata. La fama di Suvarov in Italia è effimera, solo gli storici specialisti la ricordano. Invece gli italiani in qualsiasi libreria possono aprire la Certosa di Parma di Stendhal e leggere fin dalla prima pagina che “Il 15 maggio 1796, il generale Bonaparte entrò in Milano alla testa di quel giovane esercito che aveva passato il ponte di Lodi e dimostrato al mondo che, dopo tanti secoli, Cesare e Alessandro avevano un successore”.

La storia ciascuno oramai la scrive un po’ come gli pare. Su Bonaparte ci sono più di 50 mila libri, con uno stuolo di critici delle sue imprese militari. Il Thiers, che pure non ha sollevato una spada in tutta la sua vita, ci illustra meticolosamente gli errori di Napoleone sul campo di battaglia. Gli storici italiani invece, anche recenti, riconoscono volentieri le qualità militari del loro connazionale. Preferiscono discuterne l’affidabilità politica e morale. Bonaparte appare come un despota che sfrutta l’ondata della rivoluzione per insidiarsi sul trono di Francia. L’Italia verrà solo sfruttata. E per carità ci sono i balzelli, c’è la repressione, i ripensamenti. Antonio Spinosa ci ha spiegato per filo e per segno come Napoleone fu un flagello non un liberatore. Allora riprendiamo la cronaca di Stendhal che almeno Bonaparte lo ha conosciuto davvero. “Il 15 maggio 1796 tutto un popolo si rese conto di quanto fosse straordinariamente ridicolo e in certi casi odioso, tutto ciò che aveva rispettato fino a quel giorno. La partenza dell’ultimo reggimento austriaco segnò la fine delle vecchie idee”. Ecco il punto per Stendhal, le idee. L’indipendenza italiana è una messa in scena, comanda il generale da Mombello. Eppure la forma delle Repubblica è qualcosa di vero, uno Stato cispadano autonomo, composto da cittadini italiani fra i più illustri, Marescalchi, Compagnoni, Volta, che discutono del governo da darsi, e che richiamano all’unità e all’indivisibilità della Repubblica. Qualcosa che non si era mai visto nell’era moderna su quel territorio conteso, come dirà Metternich, “quella espressione geografica”.

Davanti alle idee la realtà è durissima. Foscolo sarà il primo a denunciarla, poi Beethoven ed infine lo stesso Stendhal, il più deluso di tutti da Napoleone imperatore. Siamo nell’epoca in cui si pensava che l’assoluto fosse di per se già perfetto e completo dentro il cilindro di un prestigiatore. Forse Bonaparte fu solo il prologo in cielo di una libertà che subito si esaurì nei furti e nel sangue. Di sicuro prima di Bonaparte c’erano solo quelli. Gli imperi centrali dominavano sul popolo per diritto di nascita. Napoleone ha un referendum che lo fa console a vita e poi un altro che lo sceglie imperatore dei francesi. Un re è solo una corona. Napoleone è qualcosa di più di un tricorno e un cappotto liso. E’ il consenso popolare che si fa strada nell’800 e che ha nel talento il suo mezzo. Nemmeno a dirlo fu un russo ad accorgersene, il conte Tolstoj quando scrisse “questo Napoleone ha fatto perdere la testa a tutti. Un qualsiasi sottotenente si vede imperatore”. Per questo bisogna voltare le spalle alla Russia. Nessuno vuole tornare sotto il dominio di una vecchia casta, che per maggior sua sicurezza il bonapartismo lo ha voluto cancellare fin dal 1815 e non certo per critica ai suoi tratti dispotici. Quelli li apprezzano e li praticano, ancora adesso.

CCO

Tags: MilanoNapoloene
Riccardo Bruno

Riccardo Bruno

Riccardo Bruno si è laureato in Storia della Filosofia presso l'Università di Roma La Sapienza nel 1988. Dal 1987 al 1989 collabora all'Ufficio esteri del PRI diretto dall'onorevole Vittorio Olcese. Dal 1994 è capo ufficio stampa del PRI, dal 1995 giornalista professionista iscritto alla stampa parlamentare. Nel 1999 è capo redattore de La Voce Repubblicana. È stato poi editorialista per il Foglio di Giuliano Ferrara e l'Indipendente di Vittorio Feltri. Dal 2019 è prima vice direttore de La Voce Repubblicana e poi direttore politico

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