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Una Rai che rischia di restare sempre uguale a se stessa

Riccardo Bruno di Riccardo Bruno
15 Maggio 2023
in Attualità / Politica
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Il massimo che si possa sperare dall’addio di Fabio Fazio dalla Rai è che non si elargisca ad un suo eventuale sostituto lo stesso stipendio che percepiva lui, un insulto ai tanti colleghi giornalisti che guadagnano due lire, se le guadagnano. Poi, chi trovava la sua trasmissione iniziata dal 2003 più fastidiosa che insulsa potrebbe anche essere d’accordo con l’onorevole Gasparri, e dire che servirebbero ore ed ore di silenzio. Non fosse che nel 2003 era proprio al governo l’onorevole Gasparri e forse come ministro delle Comunicazioni, uno dei ministri più stabili, fra l’altro, possibile che non avesse previsto l’effetto Fazio? Fazio sta da 40 anni in Rai ma prende piede con un governo Berlusconi, di cui Gasparri era ministro, mica con un governo Prodi. E perché allora il governo Berlusconi nel 2009 non ha messo le mani ad un progetto di riordino della Rai che era per lo meno necessario? Aveva altro di cui occuparsi?

Si è dovuto aspettare il 2013 quando il buon ministro Saccomanni, disse che sarebbe stato necessario mettere la Rai sul mercato, per lo meno delle sue strutture, o qualcosa perché poi Saccomanni non ne ha mai più accennato. Il povero Saccomani è deceduto prematuramente, speriamo non perché avesse accarezzato la sola idea di riformare la Rai. Perché la Rai non è riformabile mai. Ha svolto una funzione eroica nell’alfabetizzazione del paese, ed è anche andata molto oltre, ci ha insegnato i classici della letteratura, della poesia del teatro, cosa che nemmeno la scuola pubblica riusciva a fare. I fratelli Karamazov, li abbiamo visti in Rai e persino il principe di Homburg di Kleist realizzato da un eccezionale Bruno Ganz. I grandi del Cinema da John Ford a Costa Gavras, li abbiamo visti in Rai. Sembra incredibile che sia successo in un tempo tanto lontano. Eppure la Rai trasmise l’Armata a cavallo, The Red, and The White di Jancso in prima serata, Rai tre nel 1978. Adesso saranno quarant’anni che Rai tre ci propina ogni santo giorno Un posto al sole. E non sapremmo dire se è più grave che qualcuno ancora lo guardi piuttosto che una simile roba non lo guardi più nessuno.

C’è da restare di sasso nel pensare che abbiano fatto fare uno sceneggiato a Marco Bellocchio sul caso Moro. Tanto che valeva la pena rivederlo due volte in due anni perché ci sarebbe da credere che fosse l’ultima occasione di assistere ad una performance d’ autore in Rai. Il governo Meloni valesse qualcosa sotto il profilo culturale si porrebbe un problema ben più ampio di quello di cacciare Fazio e Littizzetto, ad esempio il rapporto costi benefici. È possibile che vi siano tre redazioni giornalistiche? E tre canali a che servono, a dare una direzione al Terzo Polo che manco esiste più? Un disegno di riforma della Rai lo vuole proporre l’onorevole Gasparri ora che non è più ministro ed ha le mani libere? Perché l’unica altra novità è di una nuova sede del telegiornale aperta in Vaticano, probabilmente per collegarsi meglio, visto che il Tg1 comunque, cascasse il mondo, la domenica si apre sulle parole del papa.

Salvini aveva avuto un’idea brillante, abolire il canone. Lo abolisce davvero? Perché anche abolire il canone servirebbe necessariamente a ridurre i costi della Rai per la ricaduta che avrebbe sulle casse di via Teulada. Per lo meno una Rai siffatta vivesse di pubblicità, perché farla pagare ai cittadini? La paghino gli ascolti di Vespa. Vi sarebbe anche questo aspetto da tenere conto, una legge per la quale la raccolta di pubblicità esclude il canone, per cui si fa pagare il canone solo in assenza di pubblicità. Detto fra di noi, non ci facciamo illusioni. Il Pri fu il primo e unico partito a presentare un progetto organico di riforma della Rai e già nel 1987. Il risultato fu di ridurci i tempi di presenza in Rai ed allora eravamo la terza forza del governo.

Foto PhotoExposure | CC0

Tags: fazioSaccomanni
Riccardo Bruno

Riccardo Bruno

Riccardo Bruno si è laureato in Storia della Filosofia presso l'Università di Roma La Sapienza nel 1988. Dal 1987 al 1989 collabora all'Ufficio esteri del PRI diretto dall'onorevole Vittorio Olcese. Dal 1994 è capo ufficio stampa del PRI, dal 1995 giornalista professionista iscritto alla stampa parlamentare. Nel 1999 è capo redattore de La Voce Repubblicana. È stato poi editorialista per il Foglio di Giuliano Ferrara e l'Indipendente di Vittorio Feltri. Dal 2019 è prima vice direttore de La Voce Repubblicana e poi direttore politico

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