Anche a costo di sembrare fascisti, bisogna subito citare Benito Mussolini, che non la mandava certo a dire e in quanto a chiarezza non era secondo a nessuno: «Governare gli italiani non è impossibile, è inutile». Carlo Calenda, nel suo ultimo libro, parte da qui: in Italia abbiamo il Fight Club che, “proprio come quello del famoso film di David Fincher, è un momento di sfogo, di liberazione e di semplificazione”. Quello che piace è guerreggiare, io di qua, tu di là, destra e sinistra. Vannacci versus Murgia. Conservatori equilibrati versus cancel culture e sessi fluidi. L’unico interesse è “tenere sempre alto il rumore”, e la politica consiste nel “fidelizzare” la propria clientela: coccolarla e proteggerla dal nemico, l’altro, brutto e cattivo, che sta dall’altra parte. Un conflitto ideologico per militarizzare l’elettorato. «Il “voto contro” è sostanzialmente l’unica vera ragione di voto rimasta in Italia, insieme a quello clientelare». Poi ci si sono messi pure i social. Una volta c’era lo scemo del villaggio e i freak show, dove il buffo, il deforme, lo stolto erano le attrazioni di una fiera. Adesso la stessa morbosità gli dà un palcoscenico e tutti si sono messi in testa la convinzione che averne uno legittimi opinioni e visioni del mondo. Lo diceva già Umberto Eco. Abbiamo legittimato un esercito di imbecilli che contesta ogni forma di autorità e di sapere. Immaginiamo di dover dare in gestione un bar, dice Calenda. Le domande fondamentali che faremmo ai candidati riguarderebbero le esperienze precedenti e i progetti per amministrarlo. Ora se uno ci dicesse: “non ho esperienze, ma sono un ottimo ciclista” e un altro rivendicasse un passato da bibitaro allo stadio e promettesse di farci diventare Starbucks, noi li metteremmo alla porta. Chissà perché quello che vale per un normale colloquio di lavoro non vale più quando dobbiamo pensare ad affidare a qualcuno la gestione del nostro stare insieme.
Tutto è occasione di scontro, anche la gestione sanitaria. Qui non siamo d’accordo con Calenda, perché la regia della pandemia è stato un disastro completo, di un tragico così grottesco da essere sublime, il vaccino dall’efficacia ancora tutta da dimostrare, e con gente che per quel vaccino c’è morta o ha subito danni gravi. Troppa gente. La commissione d’inchiesta è il minimo, altro che. Siamo d’accordo però con le conclusioni. Sarà anch’essa uno “spasso inutile” ma “consentirà ai partiti di ridividerci in squadre e di nascondere ciò che realmente conta: lo stato del servizio sanitario nazionale”: «La media di otto mesi che serve per fare una TAC in Italia scomparirà dietro la montagna di stracci che ci tireremo a vicenda».
Rivoluzioni sì, riforme no. «Le prime non si verificano mai ma sono un appassionato oggetto di discussione e intrattenimento; le riforme, invece, minano le nostre rendite di posizione, anche quando sono residuali. Le riforme e la buona gestione sono noiose ma insidiose, le rivoluzioni confece sono emozionanti ma innocue».
E qualche dato bisogna pur darlo: «Siamo ventiduesimi, su ventisette paesi dell’Unione Europea, per tasso di abbandono scolastico e di percorsi di formazione nella fascia d’età compresa tra i diciotto e i ventiquattro anni; dodicesimi su ventisette per spesa sanitaria pro capite, dietro a tutti i grandi paesi europei esclusa la Spagna; penultimi per crescita dei redditi reali negli ultimi vent’anni; primi per numero di giovani che sono fuori dal lavoro e da percorsi formativi».
Come se ne esce? Lasciandoci alle spalle questi ultimi trent’anni e voltando pagina con un nuovo ethos, un “patto repubblicano”, superando il divisivo del bipolarismo (rivedendo la legge elettorale), e sposando un’idea in cui si sia uniti nelle differenze. Non era questo lo spirito dei Padri costituenti? Pensiamo a Palmiro Togliatti, comunista, stalinista, che pure lavorava per il liberale monarchico marchese Roberto Lucifero di Aprigliano. «I Padri Costituenti erano in grado di andare oltre il proprio immediato interesse di parte, per abbracciare e sostenere l’interesse della nazione. Lo facevano per spirito di servizio verso il paese, certo, ma anche perché vivevano una dimensione storica ed epica del proprio agire. Ed è precisamente questa dimensione che manca alla politica italiana da trent’anni. Nessun leader politico ha più ambizioni grandi, perché la politica si è ristretta ed anche il presente prevale sulla dimensione storica delle azioni». L’unica eccezione è stata Mario Draghi. «Durante il governo di Draghi, per la prima volta nella nostra storia, non ci siamo preoccupati se i provvedimenti varati dall’esecutivo fossero di destra o di sinistra, ma se risultassero utili o nocivi per il paese». “Un politico guarda alle prossime elezioni; uno statista guarda alla prossima generazione”, diceva De Gasperi citando James Freeman Clarke, un predicatore e teologico statunitense. «Per difendere la vitalità del mio popolo», disse De Gasperi alla Conferenza di Pace di Parigi il 10 agosto del 1946, «sento la responsabilità e il diritto di parlare […] armonizzando le aspirazioni umanitarie di Giuseppe Mazzini, le concezioni universalistiche del cristianesimo e le speranze internazionalistiche dei lavoratori». Questa è la radice ideologica di una riforma del sistema istituzionale. Calenda è favorevole a mutuare dalla Germania il cancellierato, appoggiato a una sola camera eletta, per garantire una maggiore stabilità dei governi.
E quali devono essere i “contenuti” politici di questo Patto repubblicano? Innanzitutto, mazzinianamente, la “questione sociale”. Calenda è tra i liberali “pentiti”. Lo disse in maniera molto colorita, che periodicamente viene ricordata nei social, durante la presentazione di un libro di Antonio Polito, con Massimo D’Alema: “negli ultimi trent’anni noi liberali abbiamo detto ‘un sacco di cazzate’, semplificando processi complessi a spese dell’equità sociale”. Detta altrimenti: puoi teorizzare tutti gli Stati minimi che vuoi, perché i Mercati sono santi e buoni, ma poi a lacerare è il lato oscuro della globalizzazione, la disumanizzazione della tecnica, le delocalizzazioni selvagge, i “dipendenti ultracinquantenni lasciati per strada dalla mattina alla sera”, i salari stagnanti, i settori industriali spazzati via. Allora dobbiamo tornare a parlare di diritti sociali, in nome della dignità della persona, che ha il diritto di un salario dignitoso, ha il diritto di curarsi in una struttura pubblica e ha il diritto di formarsi in una scuola pubblica. Come facciamo a parlare di libertà se non mi posso curare per mancanza di risorse, se sono un analfabeta funzionale (che certo, può sdottoreggiare su Facebook, e magari essere ospite di Cruciani, ma rimane estraneo a ogni processo reale di determinazione pubblica), e non riesco ad andare dietro le bollette di luce e il gas? Pena il declino, abbiamo bisogno di circa cinque miliardi in più l’anno per il comparto dell’istruzione per tornare competitivi con il resto d’Europa, non abbiamo colpevolmente usato la linea di credito agevolato da 37 miliardi di euro messa a disposizione dall’Europa sulla sanità che versa in uno stato tragico, mentre il costo complessivo degli interventi necessari per i salari è di circa venti miliardi di euro. «Sono tanti soldi, ma di gran lunga di meno di quanti ne abbiamo spesi per Quota 100 e reddito di cittadinanza combinati, e abissalmente meno degli sciagurati bonus edilizi del governo Conte». E come far cassa? Con la lotta reale all’evasione fiscale, quella che in Italia non si è mai fatta. Il peso della fiscalità è quasi tutto sulle spalle dei pensionati e dei dipendenti statali: il 14% dei contribuenti sostiene i due terzi di tutto il carico. Un Patto repubblicano deve prevedere anche una responsabilizzazione del cittadino e una educazione al voto. La disaffezione rende un uomo inutile, e già lo spiegava Pericle agli ateniesi: l’astensione genera un danno collettivo al funzionamento della democrazia, perché si agevolano le clientele e le catene di voti.
Infine la collocazione geopolitica. Non possiamo pensare una difesa dei valori di una liberal-democrazia al di fuori dall’UE e dal rapporto con gli Stati Uniti. Un rinnovato autentico patriottismo parte anche da qui.