Nel resoconto della battaglia di Stalingrado il cecchino degli Urali Vasily Zaitsev riporta involontariamente e con precisione il giudizio che i russi hanno degli ucraini. “Quanto capita loro a noi non importa niente”. Questa frase contenuta nel memoriale di Zaitsev è di un militare russo professionista, non di un bolscevico, infatti fu proprio l’esercito zarista, negando un riconoscimento qualsiasi all’Ucraina a perdere ogni possibilità di vittoria contro l’armata rossa. Gli ucraini combatterono sia i bianchi che i rossi con la “Armata nera” di Machno, passato alle cronache come un pazzo. La Russia ed in particolare l’esercito che radunava l’élite aristocratica del paese, disprezzava la rurale Ucraina, il suo dialetto biascicato, i suoi costumi dovuti alla lunga sottomissione ad imperi diversi. Forse che le espressioni più alte dell’Ucraina, un Gogol, un Bulgakov, non si erano sentite innanzitutto russe? Così fu anche per il bolscevismo, sia Trotzkij che Crusciov nati in Ucraina si consideravano russi.
A distanza di tanti anni, il giudizio russo nei confronti degli ucraini è rimasto lo stesso. Considerano naturale radere al suolo intere cittadine per conquistarne il territorio. Qualcosa però è destinato a cambiare in queste ore dopo l’irresistibile avanzata russa nel Donbass, quella che ha portato alla conquista del 20 per cento dell’Ucraina e per i nostri analisti militari, tutti entusiasti di Putin quelli ospiti in televisione, capovolto le sorti della guerra. La trentacinquesima armata russa è stata letteralmente annientata ad Izyum, non esiste più. I russi per rabbia hanno nuovamente e inutilmente sparato missili su Kyiv. Questa guerra passerà alla storia perché i russi uccidono vecchi, donne e bambini, gli ucraini soldati e ufficiali generali delle truppe di assalto.
Lo scenario militare presentava sin dal primo momento una chiara impreparazione dell’Ucraina nel dover affrontare l’invasione di un’armata di duecentomila uomini. L’esercito ucraino è raffazzonato su unità della dissolta armata rossa, non dispone di una leva di massa, il bilancio è magro e le armi se le sono vendute più che acquistate. Per cui Putin pensava che sarebbe accaduto come nel 1919, le bande cosacche a cavallo appena hanno scorto i bivacchi dell’armata rossa si sono dileguate zitte zitte nella notte e mai più riviste. Combatté appunto solo l’armata di Machno senza grandi risultati nelle campagne e comunque dall’anno successivo. Putin magnanimo, come ce lo raccontano ancora nella giornata di ieri i nostri commentatori del piccolo schermo, il leader russo è un uomo buono, mai gli accadesse qualcosa chissà che bruto gli potrebbe succedere, aveva chiesto la testa di Zelensky ai generali ucraini e l’avrebbe finita lì.
Invece i generali ucraini presidiate con successo le grandi città tanto da renderle inavvicinabili ai russi, hanno poi messo in pratica nel Donbass la stessa tattica usata da Napoleone ad Austerliz dove era in inferiorità numerica di uno a tre. Sono indietreggiati dando l’idea di non poter resistere all’offensiva nemica. E appena quello sentendosi sicuro ha allungato le sue linee, è stato distrutto. Questo è avvenuto anche ad Izyum l’ultimo smacco subito sul campo dal Cremlino, prima che arrivino le promesse e micidiali nuove armi occidentali. Lo scriviamo oggi perché con tutti gli ammiratori del genio di Putin che ci sono in Italia, ci vorrà una settimanella per capire cosa è avvenuto nella meravigliosa avanzata russa nel Donbass.