È dei giorni scorsi la notizia che, in Israele, è in corso una vera e propria disputa tra il Governo di Benyamin Nethanyahu e la Corte Suprema. Come nasce questo conflitto? Quali sono le ragioni che rendono tesi i rapporti tra Governo e la massima espressione del Potere Giudiziario israeliano?
Per capire con cognizione di causa occorre avere alcune informazioni preliminari. Al mondo esistono solo tre Nazioni democratiche che non hanno una Costituzione scritta. Non hanno cioè un testo redatto appositamente per sancire i valori fondativi alla base dello Stato. Valori che condizioneranno la redazione delle leggi che regolano ogni aspetto della vita dei cittadini. Queste nazioni sono la Gran Bretagna, la Nuova Zelanda ed Israele. Israele, infatti, ha deciso, al momento della dichiarazione della sua indipendenza, che le norme che avrebbero regolato la vita civile e militare dello stato sarebbero state stabilite via via che lo stesso avesse preso forma più concreta ed i suoi cittadini, costretti per secoli ad un esilio forzato ai quattro angoli del mondo, avessero portato i loro differenti contributi alla pacifica convivenza. Nel frattempo la Knesset, il Parlamento, avrebbe promulgato quelle che, gli israeliani, chiamano Leggi Fondamentali. Leggi preposte a regolare la vita e la convivenza dei cittadini in uno Stato in perenne evoluzione.
Chiaramente le vicende che tutti conosciamo hanno obbligato ad una lunga dilazione nel raggiungimento di un equilibrio che avesse permesso la stesura di un corpus organico di norme che potesse essere definito Costituzione. Per questo, a tutela della democrazia di Israele, oltre al parlamento, c’è la Corte Suprema, che valuta le Leggi Fondamentali e stabilisce se queste sono conformi allo Stato Democratico ed alla salvaguardia della popolazione, senza dimenticare il principio fondativo di Israele per cui lo Stato deve essere, e rimanere, il posto sicuro in cui ogni ebreo del mondo può trovare asilo.
A tal riguardo, noi Italiani, dovremmo ricordare che la stessa Roma fu fondata esattamente sul principio dell’Asylum, cioè di una comunità accogliente e soccorritrice. E che i valori repubblicani si basano sugli stessi principi.
Ma torniamo ad Israele. La diatriba tra il Governo e la Corte Suprema nasce dalla presenza, nell’esecutivo, di Aryeh Deri, nominato ministro dell’Interno e della Sanità. Appartenente al partito Shas, un partito conservatore e religioso, Deri, in passato, ha avuto a che fare con la Giustizia israeliana, prima nel 2000, anno nel quale fu condannato per corruzione, e poi nel 2022 per evasione fiscale. Fu dunque condannato per evasione fiscale e corruzione e, nell’ultimo processo a suo carico, ottenne la sospensione della pena, a patto che si ritirasse a vita privata ed abbandonasse la politica.
In Israele quando occupi una carica pubblica, avere delle condanne passate in giudicato, pesa sull’immagine politica, e la Giustizia ha la memoria lunga. Comunque, Aryeh Deri si era impegnato ad abbandonare la vita politica per godere di una riduzione di pena. Essersi, invece, presentato come candidato alle elezioni ed essere stato nominato ministro, ha messo in moto dei procedimenti legali che non potevano essere evitati e che hanno, ovviamente, posto in attrito il Governo con la Corte Suprema. La diatriba, come era naturale attendersi, si è spostata dal piano personale, riferito a Deri, per approdare sul ruolo della Corte Suprema, ruolo che l’esecutivo vede ostativo, soprattutto nei casi di giustizia relativi alla sicurezza dello Stato, ma che, in assenza di una Costituzione organicamente scritta, rimane l’unico garante della democrazia israeliana.
Seguiremo l’evolversi di questo scontro che si preannuncia essere molto interessante anche per noi, visto il dilemma che affligge la nostra stessa maggioranza sul corretto utilizzo delle intercettazioni nei casi di sicurezza nazionale, nella lotta alla mafia ed alla corruzione.
Foto Eric Borda | CC BY-ND 2.0