A rigore una legge elettorale quando prescrive il potere legislativo o esecutivo degli eletti è sempre democratica, anche se premiasse coloro che ricevono meno voti rispetto a chi ne ha presi di più. La democrazia non è infatti propria della legge elettorale ma del sistema che la applica. Se vengono eletti gli Stati Generali in Francia con il solo potere consultivo della Corona, non si tratta di elezione democratica, ma di capriccio della Corte. Quando la Francia elegge una Convenzione che trascina a processo il re ed è capace di esprimere la legge ed il governo della nazione, va da sé che siamo di fronte alla prima legge elettorale democratica del nostro continente. Eppure, badate, quella legge, con le donne, escludeva dal voto anche i servitori, che in Francia nel 1793 erano 800 mila su venti milioni di abitanti. Sarti, palafrenieri, cuochi, pasticceri, cocchieri, sellai, istitutori, giardinieri, parrucchieri e via dicendo, privi di diritto alcuno. Senza contare che sempre quella legge stabiliva una distinzione per censo. Non si poteva eleggere un libero cittadino sotto una determinata soglia di guadagno. Tanto che la si contestò sostenendo che Rousseau non avrebbe potuto nemmeno votare. Nessuno però si permise di dire che non era democratica.
A maggior ragione una legge elettorale maggioritaria o proporzionale che sia non induce un giudizio sulla sua democraticità o meno ma solo sulla tipologia della democrazia da adottare. Se la Repubblica intende eleggere un libero parlamento e non il governo, non si capisce per quale ragione debba essere maggioritaria piuttosto che proporzionale, soprattutto se, come nella costituzione italiana, il governo lo votano le Camere, non il popolo.
Non costituzionale, ma non democratica, fu la legge elettorale che nel 2001 mancò il numero prescritto dei parlamentari dalla Costituzione. Si trattò di un taglio di parlamentari senza modifica della costituzione, per cui la legislatura che vanta maggiore stabilità politica della vita repubblicana, era palesemente incostituzionale fin dal suo principio. Mentre la modifica costituzionale avvenuta in questa legislatura, pienamente lecita, avrebbe dovuto riferirsi ad una legge elettorale apposita invece di insediarsi su una legge pregressa che ne viene interamente condizionata. Il che incide necessariamente sui criteri di rappresentanza e gli equilibri stessi della legge, ma non sulla sua democraticità. E’ la sua costituzionalità ad essere messa in questione, soprattutto quando uscisse un governo armato dalle urne, cosa che pure un precedente segretario del partito democratico aveva chiesto già nel 2014. La legge che oggi è stata contestata dal segretario del partito democratico è la legge proposta dallo stesso partito democratico con un altro segretario che ne aveva seguito un terzo.
Il professor Prodi, giustamente spaventato per lo scenario politico che potrebbe scaturire da tale incedere sciagurato, aveva suggerito dal primo momento, di applicare un principio di desistenza e temperarne gli esiti infausti. Non essendo prevista tecnicamente la desistenza dalle legge stessa servirebbe un qualche accorgimento politico da poter poi garantire nel segreto dell’urna. Ammesso che l’elettorato risponda ai partiti e non alla sua coscienza, occorrerebbe per lo meno un parere giuridico su tale proposta. La legge elettorale che prevedeva la desistenza esisteva precedentemente e soppressa da questa attuale, verrebbe reintrodotta surrettiziamente. Poiché la scienza giuridica si fonda sulla casistica, non vorremmo mai correre il rischio di venir contestati, anche solo moralmente, da chi ritiene che la legge vada rispettata per quello che prescrive, non per quello che non prescrive.
Fa piacere allora che Mario Draghi abbia detto di non temere gli esiti del voto, la democrazia italiana è forte e non è a rischio. Bello da sentire. La democrazia italiana che ha sopravvissuto al governo Conte Pd, ha sopravvissuto al governo Conte Lega, è pronta ad abbattere qualunque minaccia.
Vizille Museé de la Rèvolutione Française